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IL GIORNALIERO - Dagli sceicchi alle alci. Il Canada è il primo fornitore di petrolio degli Usa Stampa E-mail

26 giugno 2010 - C’è una nuova Arabia ai confini con gli Stati Uniti d’America. Già nelle scorse settimane il Giornaliero aveva rilevato come la geografia mondiale dell’energia fosse in profonda – e forse irreversibile – evoluzione (La Malesia entra a far parte dei magnifici quattro dell’oil&gas offshore).
Ora giunge anche la conferma degli States: il Medio Oriente si è trasferito nell’America del Nord! Alla fine del 2010 spetterà infatti alle sabbie bituminose del Canada l’invidiabile primato di principale fornitore di oro nero degli Stati Uniti.
A questo clamoroso risultato è giunto uno studio dell’IHS CERA (Cambridge Energy Research Associates) che, al momento, usa ancora il condizionale. “Probabilmente questo traguardo sarà raggiunto entro la fine dell’anno in corso. Negli ultimi nove anni la produzione dalle oil sand è più che raddoppiata dai 600 mila barili/giorno del 2000 a 1,35 milioni di fine 2009. Se questo livello sarà mantenuto anche nel corso del 2010 la produzioni da fonti non convenzionali potrebbe superare quella tradizionale (in calo) per la prima volta nella storia del Canada. Buona parte di queste estrazioni prenderanno la via degli Usa che vedranno così salire proprio il Canada al vertice della classifica dei propri fornitori”.
Sempre secondo le proiezioni dell’IHS CERA nel 2030 questo petrolio di fonte non convenzionale potrebbe coprire dal 20 al 36 per cento delle importazioni a stelle e strisce. Ma, in questo caso, il condizionale è ancora più necessario.
Uno studio del National Energy Technology Laboratory (NETL) datato 2005 ha infatti rilevato che le emissioni di gas serra collegate all’estrazione di un barile di petrolio non convenzionale sono pari a 104 chilogrammi di anidride carbonica. Il valore è quattro volte superiore rispetto a quello di una produzione convenzionale all’interno degli States (mentre, ad esempio, al petrolio estratto in Nigeria è stato attribuito un impatto pari a 130 chilogrammi, soprattutto per effetto del gas flaring).
Le pressioni ambientaliste potrebbero quindi stravolgere questi conteggi. E, di conseguenza, determinare un nuovo ulteriore cambiamento della geografia mondiale dell’energia.

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