7 maggio 2010 - Molti, probabilmente, accoglieranno la notizia come un salutare respiro di sollievo. La crisi economica mondiale - che ha avuto inevitabili risvolti anche nel settore energetico - ha tagliato le gambe ai consumi di carbone in Europa. I dati di sintesi relativi al 2009 pubblicati da Eurostat segnalano un drastico calo dei consumi nell’ordine del 16 per cento.
La produzione interna registra un meno 9 per cento, mentre le importazioni calano del 16. Questo strappo al ribasso si inserisce in un trend di costante calo che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni. Posto uguale a 100 il livello dei consumi all’inizio del1990, nel 1999 si era già scesi a “quota 70”. Gli otto anni seguenti sono stati caratterizzati da una sostanziale tenuta, con alcuni picchi di consumo tra il 2003 e il 2004 e tra il 2006 e il 2007. Poi, complice la crisi, la rapida caduta che ha portato al di sotto di “quota 60” l’indice, al termine dello scorso anno.
Tra i grandi consumatori di carbone, particolarmente accentuata è stata la frenata della Polonia (meno 11 per cento), della Germania (meno 17,4 per cento), della Spagna (meno 18 per cento), dell’Italia (meno 26 per cento). Anche la Francia - il carbone non serve solo per produrre kWh e ha quindi un ruolo non indifferente anche nell’economia nucleare transalpina - registra una contrazione pari al 12 per cento. Solo come notazione statistica segnaliamo che il Portogallo, la Finlandia, la Norvegia e la Danimarca hanno invece accresciuto i consumi interni.
Per quanto riguarda i fornitori, l’Unione europea ha attinto principalmente alle miniere russe (per una quota pari al 30 per cento), giusto per confermare quanto la politica energetica comunitaria sia legata all’ex colosso sovietico, non solo quando si parla di gas. Seguono la Colombia (18 per cento), il Sud Africa (16 per cento), gli Stati Uniti (13 per cento).