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IL GIORNALIERO - Anche i biofuel ora rischiano di essere messi in croce Stampa E-mail

26 aprile 2010 - Tempi duri per i biofuel che, da qualche tempo a questa parte, sembrano essere oggetto di un vero e proprio accerchiamento mediatico. Dopo essere stati osannati forse al limite del lecito, quali paladini della lotta ai cambiamenti climatici ora rischiano di essere addirittura messi in croce.
Un primo affondo è partito, nelle scorse settimane, da Bruxelles. La stessa Commissione europea - sconfessando il suo stesso proposito del 10 per cento - ha diffuso un rapporto secondo il quale al di sopra di quota 5,6 per cento sul totale dei consumi di carburanti per uso trasporti, i danni dei biofuel potrebbero superare i vantaggi. Le ragioni sono risapute: per soddisfare la domanda europea prevista per i prossimi anni si dovrà per forza di cose ricorrere all’import dai Paesi in via di sviluppo. E questi, per cogliere al volo l’opportunità, non potranno far altro che deforestare, anche in maniera incontrollata.
Osservati speciali sono, in particolare, le coltivazioni di palma in Indonesia e in alcune zone dell’Africa Orientale per le quali sono stati già accertati casi di disboscamento selvaggio delle preesistenti foreste pluviali. Lo European Biodiesel Board (EEB) ha prontamente respinto al mittente la critica, ricordando che nel 2008 l’industria europea del biodiesel ha importato olio di palma in misura trascurabile: solo il 4,5 per cento del totale dei biofuel acquistati all’estero. Nessuna connivenza, quindi, con i deforestatori!
Ma la polemica non si placa. Anzi, vola al di là dell’Oceano. Sempre secondo calcoli della Commissione Europea la contraddizione principale avrebbe a che fare con i biocombustibili a stelle e strisce derivati dalla soia. In America - scrivono gli esperti di Bruxelles - le stesse coltivazioni che prima erano utilizzate per l’alimentazione degli animali sono ora dedicate ai biocombustibili. Gli allevatori americani devono quindi comprare la materia prima sui mercati internazionali. E si torna così, inevitabilmente, alla deforestazione selvaggia.
A impressionare sono le stime del danno. Il biodiesel da soybean avrebbe un carbon footprint pari a 340 chilogrammi di anidride carbonica per GJ, rispetto agli 85 del deprecato diesel tradizionale. Quattro volte tanto!
A titolo di esempio, per il bioetanolo da zucchero di coltivazione europea l’impronta sarebbe molto minore - pari a 100 chilogrammi - ma ugualmente al di sopra di quella dei derivati del petrolio. Dati, questi ultimi, che fanno gongolare di gioia il Brasile...

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