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IL GIORNALIERO - Iran: dal barile al kWh il passo è breve (ma solo a parole) Stampa E-mail

23 aprile 2010 - Meglio abituarci fin da subito: nello skyline dei Paesi del Medio Oriente accanto ai pozzi di petrolio ci dovrà essere sempre più spazio anche per i tralicci. I consumi di energia elettrica stanno, infatti, crescendo con ritmi degli della Cina, anche se - spesso - in assenza di adeguati programmi di sviluppo e di pianificazione di medio e lungo periodo. Come se le immense riserve di petrolio e gas, da sole, potessero bastare a scongiurare qualsiasi rischio di blackout.
Caso per certi versi limite, quello dell’Iran. Si tratta del 19° produttore mondiale di energia elettrica (con una capacità complessiva pari a 50 mila MW e altri 4-5 mila in costruzione) che annovera già tra i suoi clienti Turchia, Armenia e Afghanistn e alle cui frontiere premono Russia, India, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Siria e Oman, anch’essi (sembra) interessati ai suoi kWh.
Eppure, le autorità locali hanno già segnalato l’eventualità che nel corso dell’estate si possano verificare dei blackout se il governo di Teheran non salderà i debiti da miliardi di dollari che ha nei confronti delle società elettriche locali. Infatti, ad oggi, i consumatori iraniani pagano tariffe agevolate e regolate dal governo centrale che non remunerano affatto i reali costi di produzione. In assenza dell’intervento statale, il sistema salta (o diventa più remunerativo spegnere le luci di casa per accenderle all’estero) e gli eventuali progetti di nuove installazioni non escono dai cassetti. Ma non è tutto.
Secondo il Majlis Research Center, altrettanto grave sarebbe lo stato di salute delle reti di trasmissione. Ben il 23,5 per cento dell’energia generata andrebbe dispersa in fase di trasporto e questo farebbe dell’Iran - secondo la World Bank - lo Stato in assoluto più inefficiente dell’area africana e mediorientale.

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