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IL GIORNALIERO - Anche in Cina le aziende inquinanti (straniere) diventano sgradite Stampa E-mail

19 aprile 2010 - E adesso, forse, non ci resta che l’Africa... Amara e cinica conclusione, purtroppo - però - non priva di fondamento. Per anni molte aziende occidentali hanno delocalizzato in Cina, attratte da un mix ottimale di fattori quasi diabolico. Mano d’opera a basso costo, mercato in turbinosa espansione, discreta libertà di manovra (per usare un eufemismo) in termini ambientali. Pochi vincoli e tante opportunità.
Ora, però, anche il Paese di Mezzo sembra aver deciso di cambiare aria. La notizia è di fonte France-Presse e gode quindi di sufficiente autorevolezza: il Consiglio di Stato cinese ha deciso di imporre severe restrizioni agli investimenti (stranieri!) nei settori ad alta intensità energetica o elevato tasso di inquinamento. Sarà, invece, incoraggiata la realizzazione di progetti (sempre stranieri) ad alto contenuto tecnologico di servizio alle imprese, o inerenti i settori dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Le linee guida sarebbero già state inviate ai vari organi di governo municipali, regionali, provinciali.
La possibilità di una graduale espulsione di aziende che fino ad oggi erano ritenute gradite, sembra essere assai concreta e già - cita ancora una nota della France-Presse - circolerebbe una lista di realtà americane.
Molti osservatori economici fanno notare che da 30 anni, sotto diverse forme, la Cina favorisce gli investimenti esteri sul proprio territorio e che tale politica è diventata una parte importante dell’economia locale e un presupposto stesso della sua crescita (soprattutto in termini tecnologici). E tutto fa pensare che euro e dollari siano ancora ritenuti merce preziosa all’interno della Grande Muraglia.
La svolta ecologista è comunque un segnale innegabile, così come lo sono gli investimenti crescenti che in questi ultimi anni la stessa Cina ha fatto in Africa, in attività manifatturiere a basso contenuto di tecnologia (e alto impiego di materie prime...).

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