di Davide Canevari
La liberalizzazione? “È un percorso ancora da completare, mancando l’apertura al mercato della parte iniziale della filiera dell’energia, ovvero il segmento del gas naturale, il combustibile principale nella produzione di energia elettrica”.
A dieci anni dall’avvio del processo di superamento del monopolio, il presidente e amministratore delegato di EGL Italia, Salvatore Pinto, traccia un bilancio del quadro energetico nostrano.
Una generale soddisfazione si alterna a qualche motivo di preoccupazione, a partire proprio dalla liberalizzazione, processo effettivamente avviato ma non ancora completato. “Il mercato del gas - prosegue Pinto - manca dei requisiti fondamentali per poter essere definito tale”.
Possibili soluzioni?
L’apertura di una borsa del gas potrebbe certamente aiutare, così come la realizzazione di nuove infrastrutture di approvvigionamento che possano offrire reali alternative all’attuale sistema. Per quanto riguarda più in generale il settore elettrico, l’indeterminatezza e l’incertezza
normativa troppo spesso hanno vanificato strategie e investimenti. Ed è in questa direzione che si dovrebbe lavorare.).
Ha già fatto cenno al problema delle infrastrutture; scendiamo più a fondo nell’analisi...
Il problema dello sviluppo ritardato delle infrastrutture in Italia è innegabile, ed è spesso generato da questioni di origine normativa e autorizzativa. Gli investimenti sono penalizzati dalle inusitate tempistiche in fase di autorizzazione del progetto, dalle incertezze per i ricorsi, dalla frammentazione delle autorità di riferimento preposte al processo stesso.
Non basta, per altro, investire in termini di approvvigionamento della materia prima e di centrali di produzione: il sistema italiano è ancora oggi drammaticamente penalizzato dalle congestioni sulla rete elettrica di trasporto. Magliare adeguatamente la rete garantirebbe un immediato guadagno in termini di efficienza e una riduzione del gap di prezzo dell’energia tra le Regioni. Con positive conseguenze sull’intera bolletta nazionale.
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In tema di diversificazione dei fornitori e di sicurezza degli approvvigionamenti, qual è la posizione di EGL in merito al gas naturale liquefatto?
Il Gruppo EGL è attivo in questo mercato e ha concluso partnership internazionali al fine di sfruttare tutte le potenzialità di questa flessibile fonte di approvvigionamento. Vorrei ricordare, al riguardo, che proprio lo scorso anno abbiamo firmato a Tokyo un memorandum di intesa con la società LNG Japan Corporation. Si tratta di una partnership a lungo termine che intende concentrarsi sulla fornitura e sulla commercializzazione di GNL nei diversi mercati internazionali.
Può prospettarsi per l’Italia la possibilità di diventare un hub energetico tra Africa e centro Europa?
L’Italia si presenta come la porta meridionale dell’Europa: diventare hub energetico rientrerebbe dunque nella sua vocazione geopolitica. L’Africa e le sue risorse di idrocarburi sono da sempre il primo obiettivo. EGL, tuttavia, sta pensando in questo momento più al corridoio Sud-Est dove, attraverso l’Adriatico,si potrebbe accedere alle risorse produttive dei Balcani (rinnovabili) e alle reti di trasporto di gas dal Medio Oriente (attraverso Grecia e Turchia). Il progetto del metanodotto TAP promosso da EGL rientra in tale visione.
Torniamo al quadro normativo. Quali sarebbero i vostri desiderata per migliorare la situazione attuale?
L’auspicio è quello di avere regole che possano portare a una piena liberalizzazione del mercato e a migliorare ulteriormente l’accesso alla rete (anche se in questo caso, come accennato, è più una questione di infrastrutture che di normative).
Ma, soprattutto, chiediamo regole chiare e durature nel tempo, che possano consentire di definire strategie commerciali nel medio termine e investimenti in infrastrutture nel lungo periodo con adeguati ritorni economici. È il continuo cambiamento delle regole del gioco che destabilizza di più gli operatori del nostro settore.
C’è un Paese europeo al quale vorrebbe che si ispirassero le scelte italiane in campo energetico?
È difficile dirlo... Ogni Paese ha le sue caratteristiche e le sue singolarità. L’Italia, ad esempio, ha una configurazione geografica particolare: essendo molto allungata ha specifiche esigenze in termini di rete. Anche il portafoglio di approvvigionamento, specie dopo la scelt a di rinunciare al nucleare, è molto meno versatile rispetto a quello di altre nazioni.
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Come valuta la politica energetica italiana di questi ultimi anni?
Devo dire che i risultati conseguiti - considerando anche le regole esistenti e i presupposti di partenza - hanno spesso superato le aspettative. Sono tutt’altro che banali; in certi casi eccellenti. È vero, siamo ancora in ritardo nell’adeguamento della rete, ma l’Italia ha oggi in dotazione il parco centrali a gas più avanzato al mondo; e stiamo recuperando posizioni importanti nel settore delle rinnovabili. E poi, si è aperto - forse per la prima volta nel nostro Paese - un dibattito senza precedenti sulla questione energetica: nucleare, Borsa del gas, riduzione delle emissioni...
L’Italia, da oltre 20 anni, non ha un Piano energetico nazionale. Alcuni esperti considerano tale strumento ormai superato; per altri, invece, permetterebbe un salto di qualità al Paese. Lei per quale posizione propende? Sarebbe utile averne uno di lungo periodo?
Di primo acchito rispondo che si tratta di uno strumento necessario, soprattutto alla luce del rilancio della generazione nucleare, i cui investimenti e ritorni produttivi si misurano sull’orizzonte di decadi. Aggiungo, però, che dipende dalla qualità del Piano e dalla capacità di chi lo promuove di mantenerlo nel tempo. Se viene approvato oggi per essere poi rimaneggiato tra un paio di anni, non ha senso.
Andrebbe concepito come un prodotto condiviso e bipartisan; allora sì che potrebbe rivestire un significato di enorme portata. Altrimenti, meglio navigare a vista, mettendo il mercato nelle condizioni migliori per tracciare una rotta e per definire un proprio Piano, in grado di conciliare gli interessi dei diversi operatori in campo nel rispetto delle esigenze del consumatore.
Condizioni garantite da...
Un pieno completamento del processo di liberalizzazione.
Sembra sempre più difficile, per il nostro Paese, riuscire a rispettare gli obiettivi della direttiva 20-20-20. Lei è ancora fiducioso al riguardo?
Effettivamente pare un obiettivo molto ambizioso. Certamente l’attuale passo non è adeguato, mentre i costi per incrementarne la velocità sembrano proibitivi per la congiuntura economica.
Il problema è comunque comune a molte altre Nazioni europee, anche se qualcuno ha saputo negoziare meglio la propria posizione e i propri obiettivi e farà quindi meno fatica nel raggiungere i target fissati da Bruxelles. Va tuttavia riconosciuto all’Italia il merito di lavorare in quella direzione e di aver messo a segno consistenti progressi nel recente passato.
Sul tema CCS, proprio negli ultimi mesi è cresciuta fortemente l’attenzione da parte delle istituzioni e degli operatori di settore. Quanto ci crede EGL?
La vedo come un’opportunità, tuttavia ancora in fase sperimentale. Certo, sarebbe una bella soluzione, se ci fosse davvero.
Pare molto cauto al riguardo...
In Europa una parte consistente della generazione è alimentata a carbone, mentre in Italia, esistono ancora importanti centrali a olio combustibile o derivati dalla raffinazione. Alle fonti fossili non si potrà rinunciare, anche per le esigenze evidenziate in precedenza di potersi confrontare con un mix equilibrato dei combustibili. Dunque, nella tecnologia CCS bisogna per forza crederci ed è positivo che stiano partendo molti progetti. Temo, però, che il traguardo non sia così vicino.
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E sul nucleare?
È una ragionevole scelta strategica nell’ottica di differenziazione del portafoglio produttivo. Ma va intesa su tempi lunghi, facendo anche i conti con l’incerta economicità e tempistica.
Il percorso per la localizzazione di un impianto deve essere assolutamente condiviso, pena il fallimento stesso del progetto che non può essere imposto dall’alto alle comunità. L’esperienza svizzera ci insegna come questo aspetto sia determinante e non eludibile.
Se si dovesse costituire un pool di operatori decisi a realizzare una centrale nucleare in Italia, EGL sarebbe concretamente interessata a farne parte?
Per policy aziendale non diciamo mai di no a priori. E, come detto, in Svizzera abbiamo accumulato un’esperienza nel settore che potrebbe rendere ragionevole appoggiare una scelta in questa direzione anche in Italia. Per il momento, tuttavia, restiamo alla finestra. Per poter decidere di investire nel concreto, dovremmo avere delle certezze che oggi ancora non ci sono.
D’altra parte, quando dovesse davvero partire il piano nucleare italiano, sarà necessario reperire risorse enormi e, quindi, ci potrà essere spazio per molti soggetti. Non credo che qualche operatore rimarrà escluso perché sul mercato si presenterà un eccesso di offerta di capitali; casomai potrebbe verificarsi lo scenario contrario.
Quali ulteriori opportunità di crescita vede nel settore delle rinnovabili?
EGL ha individuato nelle rinnovabili uno degli assi di sviluppo principali. Una serie di progetti (soprattutto relativi alla tecnologia eolica) sono stati avviati in Europa e anche in Italia EGL prevede investimenti in questo settore. Già alcuni progetti sono in fase avanzata (ma non ancora autorizzati; e si ritorna al problema iniziale della certezza delle regole e della dilatazione dei tempi di realizzazione). Certo, in questi ultimi mesi l’accedere ai mercati finanziari è diventato sempre meno agevole e quindi il processo di implementazione dei nostri programmi potrebbe essere un po’ meno rapido rispetto a quanto previsto solo un paio di anni fa.
Ha senso mettere in contrapposizione nucleare e rinnovabili?
Nessuno. Non c’è ragione per un’azienda - in quanto tale - di essere a priori favorevole o contraria ad una fonte. La necessità primaria di un’impresa come la nostra è quella di avere un portafoglio il più possibile ampio e diversificato.
All’interno di questo mix è fondamentale il ruolo che possono giocare le rinnovabili, ma sarebbe scorretto affermare che in un sistema energetico complesso eolico, solare e biomasse, da soli, possono coprire adeguatamente l’intera domanda. Lo stesso discorso vale per il nucleare. La risposta non può mai essere in una sola direzione. Per questo non ha senso ragionare in termini di contrapposizione tra soluzioni alternative.
La crisi internazionale, con il calo nei consumi energetici - soprattutto di elettricità - ha in qualche modo cambiato le vostre strategie di breve e medio periodo?
Più che le strategie, che nel settore elettrico in funzione del ciclo di vita delle infrastrutture traguardano sempre ampi orizzonti, abbiamo dovuto adattare la nostra tattica sul mercato, cercando di minimizzare le perdite per i mancati consumi o le flessioni di prezzo, ma nel contempo sfruttando nuove opportunità che si manifestavano (ad esempio, i virtual interconnector).
La flessibilità e la possibilità di operare sull’intera filiera - quindi sfruttando l’intera catena del valore - sono stati determinanti per superare questa fase difficile e portare a casa un brillante risultato.
Veniamo al tema dell’efficienza energetica...
Riteniamo questo obiettivo indispensabile, soprattutto in una congiuntura in cui si dovrà rafforzare la competitività del Paese. Il sistema elettrico è chiamato a fare la sua parte, ma occorre ricordare che il settore della generazione elettrica, al momento, è in fase molto avanzata: le nuove centrali, ormai, raggiungono elevati livelli di efficienza. La stessa cosa non può dirsi per le infrastrutture di trasporto di energia e per molti settori nell’ambito della produzione industriale.
Per quella che è stata la vostra esperienza, quanto è oggi condizionante in Italia la Sindrome Nimby? E quali strumenti di comunicazione e di rapporto con il territorio avete adottato per superarla?
Certamente è un elemento condizionante. La differenza in Italia rispetto agli altri Paesi è che il confronto, sovente animato dalle stesse istituzioni in contrasto tra loro (enti locali, differenti amministrazioni, eccetera) si esprime durante l’intero percorso autorizzativo e ben oltre, rendendo difficile pianificare un progetto. Spesso l’ostilità ad una infrastruttura ha motivazioni politiche, e comunque viene vissuta come una sorta di mercato delle compensazioni. Per questo la trasparenza e il confronto con le realtà amministrative locali sono fondamentali.
Questa è stata la chiave che ha permesso ad EGL di essere percepito come un interlocutore serio e affidabile, soprattutto sui temi della sicurezza e dell’ambiente.
Sempre in tema di comunicazione, EGL ha un’esperienza maturata in differenti Stati europei. Adottate un unico linguaggio corporate, oppure soluzioni mirate a seconda dei diversi mercati?
Abbiamo una voce unica ma, naturalmente, decliniamo il messaggio nel contesto dei differenti mercati. Se la strategia è quindi unica, la sua implementazione segue le condizioni e le opportunità che si palesano nei vari Paesi. Il settore elettrico, infatti, è caratterizzato da una forte regolamentazione: norme difformi tra Nazioni condizionano significativamente le possibilità di operare. Più che una differenza tra consumatori (per noi, comunque, si tratta sempre di aziende) sperimentiamo una notevole differenza tra i sistemi normativi, la liquidità e lo sviluppo dei mercati.
Siete un’azienda giovane e molto dinamica. Quanto sono importanti al vostro interno i programmi di formazione e di aggiornamento professionale? Avete accordi di collaborazione con Università o centri di ricerca?
I nostri veri asset sono i nostri collaboratori. Effettivamente, siamo un’azienda giovane (la media è sotto i 34 anni) con elevate professionalità (65 per cento di laureati) e con importanti politiche formative studiate per sviluppare l’eccellenza delle nostre risorse. Partiamo dalla fase di recruiting dei talenti presso Università selezionate e i migliori master dedicati al settore, per arrivare a percorsi formativi ad hoc per i nostri dipendenti già in organico.
L’azienda investe in maniera signi- ficativa in borse di studio e in contratti di ricerca con istituzioni formative e di ricerca. In particolare, segnalo il rapporto ormai decennale con l’Università di Genova e la sua facoltà di Ingegneria.
Sembra che anche l’Italia debba confrontarsi con la povertà energetica. In particolare, secondo l’Istat cresce il numero di famiglie che faticano a pagare le bollette e non riescono a riscaldare adeguatamente le proprie abitazioni nella stagione fredda.
È auspicabile che si individui un’adeguata modalità di salvaguardia della fascia di popolazione meno abbiente, garantendo l’accesso ai servizi primari (quali, appunto, l’energia elettrica) ma uscendo dalla logica delle tariffe agevolate. Generalmente applicate per tipologia di utenza, queste non sempre rispondono ai reali bisogni e alle disponibilità economiche effettive.
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