29 marzo 2010 - Il fatto che il mercato del gas europeo sia - ancora oggi - una questione per pochi, non sorprende nessuno. Più interessante è invece sottolineare come l’Italia, che spesso viene chiamata in causa come esempio negativo per l’eccessiva concentrazione delle attività nelle mani di un solo operatore (a sei zampe), secondo quanto dicono i numeri di Eurostat non è affatto la pecora nera d’Europa. Pur non essendo, chiaramente, neppure nivea.
L’ultimo studio pubblicato dagli statistici di Bruxelles (European natural gas market indicators 2008) conferma, ad esempio, che i tre principali fornitori di gas sul mercato italiano detengono una quota mercato del 63 per cento. Accanto a loro vive una galassia di altri 393 operatori, ai quali però rimangono solo le briciole. In termini assoluti solo la Germania ha un numero di aziende attive superiori (addirittura 700). In questo caso, però, il mercato è molto più equilibrato. Le prime tre aziende del settore in Germania si aggiudicano, infatti, solo il 17 per cento della clientela. Chiaramente esistono mercati ancora più sbilanciati del nostro. In Francia, ad esempio, i tre big arrivano all’83 per cento del mercato; in Portogallo i 4 principali superano il 90 per cento. Nei Paesi di recente ingresso nella Ue domanda ancora il monopolio di fatto con, quote superiori al 90 per cento nelle mani di un solo operatore.
Quanto alla fase di produzione e importazione (bringing gas into the country) quasi tutte le nazioni europee vedono il mercato di fatto in mano a soli tre o quattro operatori. Per l’Italia Eurostat rileva “tre principali soggetti che assieme riforniscono il Paese dell’84 per cento dei consumi". Il dato è in linea con quanto succede in Francia (86 per cento del mercato a favore dei primi tre).
Si distinguono per apertura del mercato la Gran Bretagna (8 soggetti con quote significative e superiori al 5 per cento di share) e la Germania (6 operatori di grandi dimensioni).