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Sanguineti: “Più semplicità e interazione” Stampa E-mail

di Marta Sacchi


La ricerca deve per forza protendersi verso il futuro possibile o può guardare con attenzione anche al presente e al passato? La tentazione di rispondere di getto, escludendo le ultime due opzioni in favore della prima, è in buona misura fuorviante. E c’è un settore, quello della power generation, che lo conferma chiaramente.
Parte da questa prima considerazione l’incontro di Nuova Energia con Marco Sanguineti, responsabile programmi di R&D sull’automazione della power generation di Abb.
“Focalizziamo l’attenzione non sul processo associato alla produzione di energia - spiega Sanguineti - ma sulle attività ancillari; quelle a supporto del processo stesso e della sua gestione. Negli ultimi due o tre anni il mercato, che poi ovviamente detta i filoni di ricerca prevalenti, ha maturato una convinzione: è necessario utilizzare al meglio il parco di generazione esistente, piuttosto che dedicarsi a nuovi massicci investimenti. Per lo meno nella maggior parte delle nazioni più sviluppate si tratta quindi di favorire un approccio
brown field più che green field. Questo significa, ad esempio, riuscire ad estendere il ciclo di vita di una centrale esistente, migliorarne l’efficienza energetica, elaborare nuovi modelli di gestione degli impianti (non è affatto detto che farli funzionare al massimo potenziale delle ore nel corso di un anno sia sempre la soluzione ottimale). Ovviamente, con il graduale affermarsi delle fonti aleatorie, occorre poi introdurre una nuova variabile, inerente gli aspetti della gestione delle linee”.


Una prima interessante sfida per il settore della ricerca. E poi?
Quello descritto in precedenza può essere in effetti considerato il punto di partenza. Una seconda esigenza che si sta evidenziando in maniera sempre più chiara riguarda il migliore utilizzo dell’energia stessa, una volta che questa è stata prodotta, ossia l’intera filiera del kWh, generato e immesso in rete, fino al consumatore finale. In questo caso occorre spostare l’ottica sull’utilizzatore, ricordandoci che lo stesso impianto di generazione è un utilizzatore estremo!
La sfida che si pone a noi ricercatori è quella di trovare soluzioni per far consumare al meglio. Il cambiamento che si è andato delineando in questi anni è epocale: richiede il passaggio da un’economia energetica che potremmo definire della forza bruta a quella on demand, con tutte le tecnologie a supporto associate. Generare alle condizioni migliori e solo quando serve significa flessibilità e capacità previsionale.

Quindi non entra in gioco il solo hardware, ma anche il software.
Certo: modelli matematici, capacità computazionale, sistemi sempre più interconnessi rispetto al passato… Prima era necessario e sufficiente far funzionare un impianto 24 ore su 24 o avvicinarsi il più possibile a questo traguardo. L’obiettivo primario era quello di ridurre al minimo le fermate.
Adesso gli obiettivi sono cambiati e diventa prioritaria la capacità di reagire su apparati con inerzie di un certo livello (una caldaia da 1 GW non è cosa che si possa accendere o spegnere istantaneamente) e di essere quindi in grado di anticipare queste reazioni. Un altro passaggio fondamentale - e come tale stimolante filone di ricerca - è quello di saper leggere il sistema nel suo complesso. Far interagire i componenti (sempre più complessi) e studiarne le mutue influenze.

Proviamo a fare un esempio.
Ipotizziamo che l’auto elettrica diventi un bene diffuso sul mercato, di facile accesso e quindi in breve tempo rilevante in termini di circolante. Questo richiederà di affiancare al mezzo di trasporto un’adeguata infrastruttura (a partire dalle colonnine di ricarica) che dovrà sostituire gradualmente l’attuale rete di distribuzione. Presumibilmente i punti di ricarica elettrica dovranno essere più numerosi e capillari rispetto a quanto oggi succede con le pompe di carburante. Ma ancor più, si dovranno adottare soluzioni per gestire i picchi della domanda (prevedibili fino a un certo punto) che altrimenti potrebbero avere serie conseguenze sulla stabilità e sulla capacità della rete e quindi sul contesto globale della generazione. Nel futuro che va delineandosi, sempre più sarà impossibile astrarre il singolo componente dal sistema in cui opera.

Un altro filone di grande interesse sembra essere quello dell’energy storage.
Soprattutto in vista di una crescente diffusione delle fonti rinnovabili, diventa prioritario creare dei tamponi che tengano conto della estrema variabilità di utilizzo e di generazione. Per altro, questo, è un segmento nel quale un’azienda come la nostra è molto attiva. Una prima possibilità è quella di mantenere nel tempo l’energia elettrica prodotta e non utilizzata, attraverso batterie e altri metodi tradizionali di stoccaggio. La strada alternativa è quella di sviluppare forme di immagazzinamento dell’energia non sotto forma di elettricità: dunque il calore, l’idrogeno, l’acqua stessa attraverso il pompaggio nei bacini.

C’è poi l’aspetto - non secondario - della riduzione degli inquinanti.
Nel futuro sarà inevitabile installare nuova capacità di generazione e questa dovrà garantire livelli di emissione sempre più ridotti. In parallelo occorrerà agire sull’installato, mediante tecnologie di retrofit, per garantire adeguati livelli di abbattimento anche sull’esistente.

Più in generale, come sono cambiate dal suo punto di vista le esigenze del settore, e dunque le sollecitazioni nei confronti della ricerca?
In passato prevaleva la tendenza a cercare la soluzione più so- fisticata, ingegnosa, innovativa. Da qualche tempo rileviamo, invece, un ritorno all’analisi di fondo per capire dove si può introdurre una semplificazione. Lo vediamo in tanti aspetti, anche del nostro vivere quotidiano. Nel mondo del software e dell’hardware, per esempio, sul mercato sono stati immessi sistemi sempre più complessi e sofisticati che ora fanno troppe cose e - magari - riescono poi a rispondere solo in maniera asfittica a quello per

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GENOVA LABORATORIO D'ECCELLENZA

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Il laboratorio di Ricerca e Sviluppo di Abb
a Genova è il centro di eccellenza per lo sviluppo e la gestione delle tecnologie
di automazione per la generazione di energia. È uno dei 5 centri di ricerca a livello mondiale insieme a quelli di India, Germania, Stati Uniti
e Svizzera.
Vi operano quindici qualificati ricercatori, impegnati nello sviluppo della tecnologia
e dei relativi componenti. Vi si studiano
le apparecchiature fondamentali per la gestione e la sicurezza della combustione negli impianti termoelettrici e i sistemi di automazione e protezione delle macchine rotanti, quali ad esempio le turbine di varia tipologia. Oltre a ciò, questo centro
è responsabile dello sviluppo delle tecnologie di integrazione degli apparati elettrici e dell’integrazione, test e rilascio della versione System 800xA, specifica per applicazioni nel settore della produzione di energia.

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cui originariamente sono stati creati, perché troppo impegnati a fare altro. Si pensi, ad esempio alla telefonia mobile. Questo approccio in alcuni casi ha fatto perdere il significato stesso dello strumento.
Un ripensamento di questa strategia, che riporti l’attenzione sul semplice e sul facilmente gestibile, è attualmente in atto anche nel nostro settore. La tendenza è quella di ricercare soluzioni sempre più semplificate, integrate e integrabili tra di loro. In passato - ad esempio - negli impianti c’erano confini molto precisi tra le parti di processo, quelle elettriche, quelle di automazione, anche in termini di strutture operative. Oggi il mondo elettrico e di automazione di processo si sono di fatto fusi, creando i presupposti per una migliore gestione dell’impianto stesso.

Spesso si dice che in Italia sia quasi impossibile far collaborare Università e aziende in un network. La vostra esperienza sembra positivamente diversa...
La cooperazione tra noi e il mondo accademico c’è sempre stata, e in vari ambiti. Con l’Università di Genova, in particolare, operiamo ormai da 20 anni, con uno spirito di grande collaborazione. Già nel 1988, grazie a questa partnership, abbiamo concepito (con la collaborazione di Enel) soluzioni impiantistiche che solo negli ultimi cinque anni si sono attualizzate in maniera davvero diffusa. Le soluzioni impiantistiche erano basate su fieldbus e potevano considerarsi (e allora furono viste come tali) le prime assolute dell’applicazione reale della tecnologia fieldbus in centrale. Più in chiave futura, vedo anche possibili collaborazioni con Cesi.

Uscendo dal vostro ambito e parlando più in generale?
Posso solo dare un’impressione personale. Da almeno una decina di anni le Università hanno realizzato di doversi confrontare con l’economia di mercato e sono quindi a caccia di finanziamenti. Se non in rari casi, le aziende presenti sul mercato italiano - tranne forse quelle americane, tedesche e svizzere - hanno però gradualmente ridotto gli investimenti a partire dalla fine degli anni Ottanta. Non deve meravigliare il fatto che i due soggetti - uno che aveva bisogno di risorse, l’altro che non voleva spendere - abbiano fatto fatica a comunicare.

La crisi mondiale ha cambiato i programmi e le prospettive di ricerca?
Secondo me assolutamente no. Grazie anche alla solidità del Gruppo Abb, nel nostro caso abbiamo incrementato le attività di R&S. Spesso e volentieri la crisi è un’occasione per fare pulizia. Probabilmente ha toccato i filoni meno determinanti, ma non ha inciso su quelli più significativi.

 
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