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Gatta: "Una strategia comune con l'Europa per dare più certezze agli operatori" Stampa E-mail


Dal settembre dello scorso anno Enzo Gatta è presidente di Assoelettrica. Mesi turbolenti, quelli che ha finora passato alla guida dell’associazione che riunisce oltre 140 produttori e grossisti di energia elettrica: petrolio oltre i 70 dollari al barile, crisi degli approvvigionamenti di gas, blocco dei lavori per la riconversione a carbone della centrale Enel di Civitavecchia, assegnazione delle quote di emissione di anidride carbonica, scontro su scala europea tra grandi imprese per la conquista di aree di mercato; protezionismi nazionalistici.


Ingegner Gatta, nel volgere di pochi mesi il panorama energetico italiano appare sensibilmente mutato. Quale è stato l’elemento più critico?
Probabilmente, l’elemento più eclatante è stata la crisi negli approvvigionamenti di gas. E il futuro, a questo proposito, appare assai incerto e preoccupante: abbiamo fin d’ora la certezza che anche nel 2007 si potranno verificare problemi di approvvigionamento, poiché gli interventi di potenziamento delle infrastrutture per l'approvvigionamento daranno i loro frutti soltanto a partire dal 2008. Se si considera che che ormai circa il 50 per cento dell’energia elettrica viene prodotta in Italia utilizzando il gas, ben si comprende la criticità della situazione.

Molti rigassificatori non sono stati costruiti a causa delle opposizioni a livello locale. Quali soluzioni pretende l’industria elettrica?
Serve un’adeguata capacità di rigassificazione per garantire il fabbisogno futuro di gas. Nel 2008 entrerà in esercizio l'impianto veneto dell’Edison. Ma non basta. Sono indispensabili interventi di carattere normativo che permettano di risolvere la situazione nei tempi più brevi possibili.

Chiedete una norma “sblocca impianti”…
Quale norma sia necessaria lo deciderà il nuovo governo. Da parte nostra abbiamo l’assoluta necessità di vedere risolto il problema. Lo stesso deve valere per lo sviluppo della rete nazionale di trasmissione dell’energia elettrica, che continua a soffrire di forti limitazioni. Occorre far presto.

Quello dell’approvvigionamento di gas naturale sembra essere un problema di dimensioni europee e non soltanto italiano.
In effetti serve maggiore chiarezza da parte della politica, anzitutto su scala europea, dove per decenni non si è mai disegnata una politica comune in campo energetico. Soltanto da pochi anni, prima con la direttiva sulle fonti rinnovabili e poi con il recente Libro Verde, la Commissione ha iniziato ad affrontare questo delicato settore. È un importante passo avanti, ma occorre maggiore puntualità, maggiore chiarezza di prospettive e di obiettivi, maggiore capacità di costruire una strategia comune. A livello nazionale serve un disegno di politica energetica coordinato con quello europeo e capace di dare prospettive certe agli operatori. Ma per carità, di tutto abbiamo bisogno fuorché delle solite e inutili buone intenzioni. Serve una politica energetica fatta di cose concrete, naturalmente senza immaginare improponibili piani di sapore dirigistico.

"FINO A QUANDO AD OGNI CAMBIO DI AMMINISTRAZIONE OGNI REGIONE SI SENTIRÀ LIBERA DI RIMETTERE
IN DISCUSSIONE OGNI COSA,
SARÀ DIFFICILE RISPONDERE
POSITIVAMENTE ALLA CRESCENTE DOMANDA DI ENERGIA ELETTRICA"


Ad esempio?
Se ne potrebbero fare molti. Un caso potrebbe essere quello della creazione di procedure certe per giungere a decisioni condivise quanto alla localizzazione di nuovi impianti energetici. Fino a quando ad ogni cambio di amministrazione ogni regione si sentirà libera di rimette re in discussione ogni cosa, sarà difficile rispondere positivamente alla crescente domanda di energia che la tanto a ttesa ripresa economica del Paese pretenderà nei prossimi anni. Il carbone a Civitavecchia, i rigassificatori in Puglia e in Veneto, sono diventati emblemi della politica locale, invece di essere considerati da tutti come qualche cosa di necessario e di utile per l’intera collettività.

Non credete che la scelta i costruire quasi soltanto impianti a gas abbia influito negativamente?
La scelta operata negli anni recenti di investire in via prioritaria sui cicli combinati a gas naturale ha permesso di conseguire molti positivi risultati: rapidi tempi di realizzazione dei nuovi impianti; minori costi complessivi; incremento dell’efficienza fino ad oltre il 50 per cento; riduzione delle emissioni inquinanti a impatto locale; riduzione delle emissioni di anidride carbonica; migliore accettazione sociale; migliore flessibilità di esercizio. A fronte di questi vantaggi sono venuti però emergendo alcuni limiti, che inducono a ritenere che in futuro debbano essere prese in esame anche opzioni alternative. Le tendenze in atto da alcuni anni hanno visto uno sviluppo notevole del gas naturale, utilizzato in particolare nei cicli combinati, andando a sostituire soprattutto prodotti petroliferi. Oggi la composizione del mix delle fonti primarie per la generazione elettrica vede il gas naturale occupare un posto di primissimo piano, con una quota di circa il 50 per cento; i prodotti petroliferi, che una decina d’anni fa occupavano una posizione di dominio, rappresentano soltanto il 12 per cento della generazione; stenta a crescere la quota del carbone, ancora al di sotto del 15 per cento; stabili le fonti rinnovabili.

Se si confronta questo panorama con quello medio europeo…
Emergono immediatamente numerose profonde differenze. Su scala continentale, infatti, il peso relativo del gas naturale è di soli 17 punti percentuali, a fronte del 31 per cento rappresentato dal carbone e dal 32 per cento del nucleare, mentre i prodotti petroliferi pesano per soli 6 punti percentuali e le rinnovabili per circa il 14 per cento.Una situazione, quella italiana, che potrebbe rappresentare in futuro un elemento di debolezza strutturale, sotto il profilo degli approvvigionamenti dei combustibili e sotto quello della volatilità dei loro prezzi, visto che la quotazione del gas naturale segue sempre quella del petrolio.

Quali fonti alternative al gas andrebbero a vostro avviso sviluppate?
Anzitutto il carbone. Indiscutibilmente le garanzie di carattere ambientale che l’uso del carbone richiede possono essere oggi largamente rispettate. Il cosiddetto carbone pulito è una realtà ormai consolidata e gli impatti ambientali che caratterizzano gli impianti di ultima generazione sono in tutto assimilabili a quelli degli altri sistemi di generazione termoelettrica.
Anche i problemi connessi alla movimentazione del combustibile, aspetto in passato assai critico, sono stati risolti grazie al ricorso a sistemi in depressione estremamente sofisticati e di grande qualità tecnologica. Non esiste quindi alcun plausibile motivo perché il nostro Paese, dopo essersi deliberatamente privato della possibilità di ricorrere all’energia nucleare, debba rinunciare anche al carbone. Appare dunque poco comprensibile l’atteggiamento di persistente ostilità verso le peraltro limitate iniziative di trasformazione di alcuni impianti, avviate o in progetto, nei confronti delle quali sarebbe viceversa opportuno fugare ogni possibile incertezza. Se si vuole realmente perseguire una diversificazione del mix di generazione, per ridurre il costo medio di produzione elettrica, è quindi necessario riaffermare iniziative che consentano anche un maggior ricorso al carbone.

E il nucleare? Siete per un ritorno all’atomo?
Finalmente, il dibattito sull’opzione nucleare è ripreso anche in Italia. La forte crescita subita dalle quotazioni petrolifere e l’esigenza di una più incisiva politica di contenimento dei gas a effetto serra ripropongono una riflessione anche su tale aspetto. È importante che il dibattito si sviluppi con franchezza e chiarezza da parte di tutti, mettendo in luce rischi e opportunità, vantaggi e criticità senza preconcetti ideologici e mirando alla ricostruzione del consenso politico e sociale su queste tematiche. Sarebbe a nostro giudizio utile definire le condizioni per rafforzare la partecipazione ai programmi di ricerca in corso a livello internazionale, e identificare gli strumenti attraverso cui favorire l’acquisizione o la partecipazione alla gestione di impianti all'estero da parte di imprese italiane. Ciò al fine di riprendere confidenza con le problematiche che presentano i sistemi complessi, come sono le centrali nucleari, e di valorizzare le risorse scientifiche e tecnologiche ancora esistenti nel settore, formandone anche di nuove.
In questo contesto ci pare altresì opportuno procedere alla ricostruzione dei presidi nazionali di ricerca, controllo e vigilanza, in buona parte smantellati nel passato, in modo da non farci trovare impreparati nel momento in cui dovesse effettivamente riproporsi l’ipotesi di riprendere il cammino abbandonato venti anni fa.

E le fonti rinnovabili? Che ruolo dovranno avere?
Un più rapido e incisivo sviluppo delle fonti rinnovabili rappresenta una condizione essenziale per rispondere all’esigenza di un riequilibrio del mix di generazione, all’obiettivo di contenere le emissioni inquinanti e di gas ad effetto serra e alla necessità di ridurre le importazioni di combustibili fossili. Abbiamo più volte sottolineato i ritardi nell’emanazione della disciplina a sostegno della crescita di tali fo

"ABBIAMO PIÙ VOLTE
SOTTOLINEATO
I RITARDI NELL'EMANZIONE
DELLA DISCIPLINA
A SOSTEGNO DELLA CRESCITA
DELLE FONTI RINNOVABILI"

nti. Ne abbiamo indicato i limiti e i problemi, segnalato le incoerenze e la scarsa incisività, soprattutto quanto ad alcune decisioni regionali. Abbiamo anche avanzato alcune proposte e ipotesi d’intervento in buona parte rimaste inascoltate. Ma dobbiamo purtroppo riscontrare negativamente il contenuto di alcune recenti disposizioni contenute nel decreto di delega ambientale. Sebbene studiate con fini positivi, tali disposizioni si sovrappongono ad altri precedenti provvedimenti e stanno alimentando confusione e incertezza, alla sta inoltre contribuendo anche l’ipotizzata revisione del sistema di incentivazione e sostegno di alcune fonti rinnovabili. Il risultato è quello di ritardare, e in certi casi bloccare, l’avvio di nuovi investimenti.

Che interventi proponete, concretamente, per sostenere le rinnovabili?
Ci auguriamo che questa situazione possa essere rapidamente risolta e superata. Innanzitutto, fornendo un’interpretazione autentica delle disposizioni emanate. In secondo luogo, chiarendo con rapidità termini e modalità degli eventuali interventi correttivi da introdurre nell'attuale sistema di incentivazione. Al riguardo non siamo pregiudizialmente contrari ad una revisione dell’attuale sistema, purché siano soddisfatte tre basilari condizioni.
La prima, che vengano salvaguardati i diritti acquisiti da chi ha realizzato, o ha in corso di realizzazione, nuovi investimenti in base alla precedente normativa. La seconda, che le nuove disposizioni offrano le opportune certezze agli operatori, indispensabili per la bancabilità dei progetti, tenendo conto delle differenze di costo che le tecnologie di sfruttamento delle varie fonti rinnovabili inevitabilmente propongono.
La terza, che siano previsti meccanismi distinti per quanto riguarda il sostegno delle fonti rinnovabili propriamente dette rispetto a tutti gli altri interventi, come quelli di incentivazione del teleriscaldamento, della piccola cogenerazione industriale e della ricerca e dimostrazione di prototipi e nuove tecnologie impiantistiche.

Come giudicate l’obiettivo del 25 per cento di produzione elettrica da rinnovabili previsto per l’Italia al 2010 in sede Europea?
Ogni intervento di revisione o modifica del quadro normativo determina un inevitabile elemento di discontinuità destinato a ripercuotersi negativamente sulla realizzazione degli investimenti. Considerati i ritardi accumulati, che già oggi rendono assai difficoltoso il raggiungimento del target assegnato a livello comunitario, prima di intervenire al riguardo appare opportuna una meditata riflessione e altrettanta attenzione. Nel contesto dei provvedimenti da assumere a sostegno delle fonti rinnovabili è necessario che siano rapidamente fissati i criteri di suddivisione degli obiettivi nazionali di sviluppo delle fonti rinnovabili tra le regioni. A nostro giudizio tali criteri non possono prescindere da una attenta ricognizione del potenziale di ciascuna diversa fonte nelle distinte realtà territoriali e dall’adozione di meccanismi premianti in caso di superamento del target e di penalizzazioni nel caso in cui l’obiettivo sia stato mancato.

Tale meccanismo dovrebbe in qualche modo avere un riflesso sui prezzi finali del chilowattora?
Sì, in modo tale da fornire gli opportuni segnali alle realtà territoriali. Insomma, con gli strumenti adeguati, andare avanti è possibile. Semmai serve anche riflettere riguardo alla fonte rinnovabile per eccellenza, l’idroelettrico. C’è il rischio di un significativo ridimensionamento della produzione idroelettrica, a causa di una disomogenea e in qualche caso acritica applicazione delle norme che disciplinano il cosiddetto deflusso minimo vitale negli alvei dei corsi d’acqua. Al rispetto di queste norme sono tenuti tutti gli impianti, indipendentemente dalla loro taglia e dimensione. Gli effetti che ne derivano rischiano però di incidere in misura assai pesante soprattutto sugli impianti di piccole dimensioni, mettendo a rischio la sostenibilità economica della loro gestione.

Suggerimenti?
Crediamo che sia necessaria una attenta valutazione dei costi e dei benefici, anche per evitare che al danno del consumatore finale, che vedrà sostituita la minore produzione idroelettrica con produzione ermoelettrica, più costosa e inquinante, si aggiunga la beffa dell'abbandono dell’attività, e quindi della produzione, da parte dei gestori di molti piccoli impianti.

Durante la crisi del gas, le imprese elettriche italiane hanno visto un picco nelle importazioni. La cosa ha suscitato polemiche. Come rispondete?
Il fatto che nel corso dello scorso inverno, per la prima volta dagli anni Ottanta il sistema elettrico italiano abbia visto una crescita delle esportazioni, è da considerare importante. Certamente il saldo è rimasto negativo, ma è accaduto, proprio in quel quadro di mercato liberalizzato che inizia a delinearsi sui scala europea, che gli acquisti di energia elettrica dall’estero si siano intensificati. Questo mutamento nel quadro degli scambi con l’estero non ha assunto ancora caratteri strutturali, ma probabilmente li acquisirà quando il sistema di generazione italiano si sarà ulteriormente rinnovato e sviluppato. Quando tutti i produttori europei disporranno di un adeguato margine di produzione, e quindi di sicurezza, il mercato finalmente liberalizzato potrà funzionare su scala continentale nelle migliori condizioni, offrendo ricadute positive a tutti i consumatori.
 
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