di Roberto Vigotti, Chair of REWP della IEA
“Gli attuali trend
di approvvigionamento
e di utilizzo dell’energia
sono chiaramente
insostenibili. Da un
punto di vista
economico, ambientale,
sociale”. Nobuo Tanaka, direttore esecutivo
dell’International Energy
Agency, sembra non
avere alcun dubbio sulla
necessità di una
inversione di rotta.
Immediata e decisiva.
“Il World Energy Outlook
2008 (WEO) - prosegue
Tanaka - mostra che
senza un cambiamento
delle attuali politiche, la domanda di energia primaria crescerà almeno del 50 per cento entro il 2030 con una persistente dominanza delle fonti fossili.
La domanda proverrà principalmente dai Paesi in via di sviluppo - Cina e India in testa - che vedranno crescere le esigenze in termini di trasporti e climatizzazione degli edifici. Chiaramente l’incremento della domanda di combustibili tradizionali farà crescere le emissioni di anidride carbonica, spingendo al rialzo nel lungo periodo le temperature medie del Pianeta, anche di 6 °C, se non ci decideremo ad agire.
Possiamo e dobbiamo cambiare questo scenario; ma ciò sarà possibile solo attraverso una rivoluzione energetica che preveda l’introduzione di tecnologie low carbon come motore del cambiamento. L’efficienza energetica, le rinnovabili, le tecnologie di CCS, il nucleare, le nuove soluzioni nel settore dei trasporti, sono tutte voci che richiederanno un diffuso sviluppo, se vogliamo raggiungere l’obiettivo di limitare le emissioni di gas serra”..
La situazione economica degli ultimi mesi ha modificato lo scenario?
La crisi economica da una parte, e la riduzione dei prezzi del petrolio dall’altra, hanno in parte distolto l’attenzione della pubblica opinione dagli aspetti più critici della sfida energetica e dei cambiamenti climatici. Nonostante il tumulto che stiamo vivendo, le analisi della IEA continuano a sottolineare l’importanza di mantenere inalterati gli obiettivi di medio e lungo periodo, puntando ad un futuro energetico più pulito e sicuro. Questi obiettivi di lungo termine richiedono sia una attenta pianificazione di scenario per il futuro, sia immediate e significative azioni nel presente.
«Gli attuali trend
di utilizzo dell'energia sono chiaramente insostenibili. Da un punto di vista economico, ambientale, sociale»
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La severità dell’attuale crisi finanziaria ed economica non ci può distrarre dalla nostra sfida, che è critica e strategica: il settore energetico produce il 60 per cento delle emissioni globali di gas serra e, quindi, l’energia è uno degli aspetti fondamentali di qualsiasi politica di intervento.
Quali relazioni tra la crisi attuale e gli investimenti necessari per adeguare il sistema energetico?
La IEA ha chiaramente identificato la necessità di sostanziosi investimenti in tutti i segmenti della filiera energetica. Stiamo vivendo la peggiore recessione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ed è inevitabile che ciò comporti pesanticonseguenze anche sul nostro settore.
In un report realizzato per il G8 di quest’anno - The Impact of the Financial and Economic Crisis on Energy Investment, IEA 2009 - l’Agenzia ha lanciato l’allarme per il rallentamento degli investimenti energetici, proprio come conseguenza del difficile periodo economico. Il fosco quadro generale ha indebolito la domanda finale di energia e ha fatto calare sensibilmente i fatturati delle aziende del comparto. La conseguenza è stata una forte contrazione degli investimenti, a cominciare dalla fase di produzione, fino all’utilizzo finale. Progetti che solo la scorsa estate erano ancora considerati appetibili, oggi non lo sono più (per lo meno nella stessa misura). Questo calo, in proiezione futura, potrà avere effetti anche gravi in termini di sicurezza energetica, lotta ai cambiamenti climatici, riduzione della energy poverty.
Quali saranno le aree più colpite?
Nel settore dell’oil&gas per tutto il 2009 si sono rincorsi gli annunci di tagli massicci; e numerosi progetti sono stati posticipati o addirittura cancellati. Stimiamo che il budget 2009 per gli investimenti nel settore upstream per l’oil&gas abbia subito un taglio del 21 per cento rispetto al 2008, una riduzione quantizzabile in circa 100 miliardi di dollari. Solo negli ultimi sei mesi, progetti di esplorazione per complessivi 2 milioni di barili/giorno, nel caso del petrolio, e per 1 miliardo di piedi cubi/giorno nel caso del gas, sono stati sospesi o cancellati del tutto. Altri 35 progetti, riguardanti 4,2 milioni di barili/ giorno di oil e 2,3 miliardi di piedi cubi di gas, sono stati posticipati per lo meno di 18 mesi. Nel breve termine l’indebolimento della domanda potrebbe dare l’illusione di poter far fronte con le attuali riserve all’evoluzione attesa dei consumi; resta tuttavia il serio rischio che nei prossimi anni i bassi investimenti di oggi si possano tradurre in un forte squilibrio tra domanda e offerta, portando a una nuova impennata dei prezzi proprio nel momento in cui ci si auspica che l’economia mondiale possa aver archiviato i postumi della crisi. Avremmo dovuto imparare la lezione dello scorso anno, evitando di ripetere gli stessi errori…
E per quanto riguarda il settore della generazione elettrica?
Stimiamo che i consumi globali di energia elettrica possano calare su scala mondiale del 3,5 per cento nel corso del 2009: si tratta della prima contrazione su base annuale, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nei Paesi Ocse, nel primo trimestre del 2009 la domanda di elettricità si è ridotta del 4,9 per cento su base annua. Nel resto del mondo la contrazione è stata ancora più evidente. In Cina, per esempio, la domanda è crollata del 7,1 per cento nel quarto trimestre 2008 e di un ulteriore 4 per cento nel primo trimestre del 2009.
Anche in questo caso, la riduzione della domanda - nell’immediato - sembra rendere superfluo l’adeguamento dell’attuale capacità di generazione. Tuttavia, se la ripresa tarderà a manifestarsi pienamente e i prezzi del kWh rimarranno contenuti, almeno in rapporto ai picchi più recenti, il rischio è quello di un ritorno al gas e al carbone, a spese delle opzioni più costose, in termini di capitale iniziale, quali le rinnovabili o il nucleare. Già oggi stiamo rilevando una contrazione degli investimenti nelle rinnovabili, addirittura più marcata rispetto al settore oil&gas e alle altre fonti. Stimiamo che per il 2009, il complesso degli investimenti nelle rinnovabili possa subire un taglio del 38 per cento, se il trend rilevato tra gennaio e marzo sarà confermato per il resto dell’anno. Ciò, ovviamente, avrà pesanti implicazioni in termini di contenimento delle emissioni.
Nel breve periodo è la crisi a fare da moderatore; ma nel
«Il calo degli investimenti potrà
avere effetti anche gravi
in termini di sicurezza energetica e riduzione della energy poverty»
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medio e lungo termine, proprio le conseguenze della crisi rischiano di favorire una nuova accelerazione, nel momento in cui ci si renderà conto di non aver fatto abbastanza per promuovere la diffusione delle energie pulite e si dovrà ricorrere ai combustibili fossili per non deprimere la domanda.
Come fare, dunque, per trasformare i rischi in opportunità?
È indispensabile focalizzare interventi urgenti sulle forniture energetiche, l’efficienza, le tecnologie a basse emissioni. Consapevoli del fatto che gli investimenti nella direzione delle rinnovabili, dell’efficienza, delle smart grid, sono in grado di creare nuovi posti di lavoro. In ogni caso occorre procedere con grande attenzione. Le misure per combattere la crisi e riattivare l’economia devono essere tempestive, ben definite in termini di target, temporanee. Alcune misure potranno richiedere anni prima di dare i risultati desiderati, come nel caso della feed-in tariff europea per le rinnovabili. In ogni caso sussistono tuttora grandi opportunità per assicurare una nuova crescita - più verde e più sostenibile - del settore elettrico.
Fortunatamente molti Paesi hanno riconosciuto questa opportunità e circa 100 miliardi di dollari (l’equivalente del 5 per cento della spesa totale pubblica - 2.600 miliardi di dollari - annunciata ad oggi come supporto alla ripresa economica) sono stati già destinati proprio all’efficienza energetica e alle clean energy. Di questa cifra, circa 20 miliardi di dollari sono ad appannaggio della generazione da fonti rinnovabili.
Un piccolo ma significativo passo nella giusta direzione…
Sì, ma occorre comunque fare molto di più. Gli investimenti devono essere tali da limitare a soli 2 °C l’aumento della temperatura globale, il cosiddetto scenario 450 ppm. Guardando al settore energetico nel suo complesso, ciò significa dover incrementare gli investimenti nell’efficienza, nelle rinnovabili, nell’energia nucleare, di circa 400 miliardi di dollari all’anno, rispetto ai livelli attuali. Ecco perché, gli stimulus package fin qui adottati sono (solo) un buon punto di partenza. Pensiamo, infatti, che possano stimolare investimenti addizionali per circa 100 miliardi di dollari, nei prossimi anni (cui vanno aggiunti alcuni fondi di valore rilevante destinati al CCS). Ma, come già evidenziato, il valore ideale è di quattro volte superiore.
Limitandosi alle fonti rinnovabili, le nostre analisi suggeriscono che per raggiungere il traguardo dei 450 ppm, i governi dovrebbero trovare il modo di moltiplicare per sei gli sforzi attuali, pubblici e privati, passando dai 20 miliardi di dollari ai 120. E questo dovrà avvenire ogni anno, per i prossimi due decenni.
A questo punto, quale messaggio lancia la IEA ai politici?
Con il settore energetico responsabile di circa l’80 per cento di emissioni di CO2 e del 60 per cento di gas serra, energia e cambiamenti climatici sono due facce di una stessa medaglia; due problemi che vanno affrontati parallelamente. Nel World Energy Outlook 2008 (WEO), lo scenario business as usual mostra che le emissioni dei Paesi Ocse sono abbastanza stabili, e che il vero problema riguarda le altre nazioni. Senza l’introduzione di nuove politiche di controllo, le emissioni globali di CO2 imputabili al solo settore energia balzeranno del 45 per cento tra il 2006 e il 2030 fino a quota 40,6 miliardi di tonnellate (più 1,6 per cento/anno). Un traguardo chiaramente non sostenibile.
Possibili soluzioni?
Abbiamo elaborato due scenari alternativi che possono portare il nostro Pianeta a livelli di emissioni più bassi, rispettivamente di 550 ppm e 450 ppm di CO2 equivalente in atmosfera. In particolare, se l’obiettivo sarà quello dei 450 ppm, occorrerà ridurre le emissioni attuali del 50 per cento entro il 2050. Gli studi si sono focalizzati sulle possibili misure tecnologiche da prendere, ma non indicano ancora chi dovrà accollarsi gli sforzi e come andranno ripartiti i pesi tra i vari soggetti coinvolti. È chiaro, però, che per circa i due terzi si dovrà agire nei Paesi non Ocse, là dove è attesa la maggiore crescita economica (con tassi del 4,8 per cento all’anno), mentre minore sarà il ruolo delle economie più sviluppate, accreditate di un tasso di crescita annuo del Pil attorno al 2 per cento.
Tre saranno le aree principali di intervento. L’efficienza energetica dovrà giocare un ruolo prioritario e nello scenario a 450 ppm dovrà assicurare il 54 per cento delle riduzioni attese (il 59 per cento se ci si limita ai Paesi non Ocse). Molto importante sarà anche il riequilibrio dell’attuale mix delle fonti, con maggiore spazio assicurato alle rinnovabili e al nucleare. A partire dal 2020 anche il CCS diventerà una soluzione praticabile, anche perché il mondo - e in particolare le nazioni ancora in via di sviluppo - non può rinunciare al carbone.
Nei Paesi non Ocse il CCS potrebbe contribuire alla riduzione delle emissioni per circa il 21 per cento. Questo scenario assume un prezzo di riferimento di 180 dollari per tonnellata di anidride
«Importante sarà anche
il riequilibrio dell'attuale mix
delle fonti, con maggiore spazio alle rinnovabili
e al nucleare»
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carbonica; ad oggi - all’interno dell’Unione europea - il valore è di circa 15 euro per tonnellata. Un giusto prezzo della CO2 rappresenta un segnale indispensabile per promuovere l’uso e la pratica delle cleaner technology.
Nello specifico del settore elettrico, cosa comporta porsi l’obiettivo dei 450 ppm?
Chiaramente il ruolo dei combustibili fossili, all’interno del mix delle fonti, dovrà calare sensibilmente lasciando più spazio a nucleare e rinnovabili. Le rinnovabili dovranno crescere dall’attuale 18 per cento (a livello mondiale) fino al 40 per cento nel 2030. Questo significa che dovremo installare 18 mila aerogeneratori da 3 MW ciascuno ogni anno, 300 impianti a concentrazione solare e 50 nuove centrali idroelettriche. D’altra parte anche la generazione da fonte nucleare dovrà - per lo meno - raddoppiare, fino a raggiungere i 5.200 TWh nel 2030. Per raggiungere questo traguardo dobbiamo costruire 20 nuove centrali ogni anno. Infine, per quanto riguarda il carbone, entro il 2030 il 30 per cento degli impianti funzionanti dovrà installare tecnologie di CCS.
Un’altra soluzione importante, cui abbiamo già fatto cenno in più occasioni, è l’efficienza energetica…
In molti casi queste politiche possono portare vantaggi, anche immediati, agli stessi consumatori. Dobbiamo fare, tuttavia, attenzione nel promuovere le giuste soluzioni per ciascuno dei settori interessati. La IEA ha presentato 25 raccomandazioni per l’efficienza energetica che sono state poi adottate dai leader del G8 nel summit di Hokkaido, in Giappone, dello scorso anno.
Se queste raccomandazioni saranno adottate globalmente e senza ulteriori ritardi, circa 8,2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica potranno essere risparmiate annualmente entro il 2030. Si tratta di un valore superiore rispetto a quello cumulato attuale di Stati Uniti e Giappone. Per questa ragione salutiamo con favore la recente costituzione dell’International Partnership for Energy Efficiency Co-operation (IPEEC), che dovrà giocare un ruolo centrale nello sviluppo delle politiche di efficienza energetica.
Sempre a Hokkaido, nel 2008, i leader del G8 hanno chiesto alla IEA di sviluppare delle road map tecnologiche sul tema dell’efficienza. Ne abbiamo identificate 19, sia sul lato dell’offerta sia su quello della domanda. Nel corso del 2009 abbiamo lavorato su road map riguardanti il solare fotovoltaico, l’eolico, i veicoli elettrici e ibridi, le tecnologie del CCS, l’energia nucleare, i cementifici.
Proprio sul CCS sembrano crescere le aspettative…
Sarà una tecnologia cruciale. Assieme al Carbon Sequestration Leadership Forum, la IEA riferirà al G8 del 2010 i risultati ottenuti in 20 impianti dimostrativi. Sempre per questo meeting saranno realizzate ulteriori road map.
Dobbiamo però precisare che non si tratta di percorsi self-executing. Il passo successivo riguarda l’implementazione, che richiederà la condivisione a livello globale di una strategia per promuovere gli investimenti e per assicurare la più vasta cooperazione possibile a livello internazionale per sviluppare effettivamente le tecnologie a basso contenuto di carbonio. Serve una piattaforma globale, come è stato riconosciuto nell’ultimo summit dell’Aquila, che abbracci un approccio globale che incoraggi la partecipazione dei singoli Paesi e delle organizzazioni private. La IEA è pronta a supportare questa iniziativa internazionale collaborando anche con Paesi non aderenti.
Un’altra priorità è la lotta alla energy poverty.
La povertà energetica ha due componenti croniche: l’impossibilità di utilizzare l’energia elettrica e l’insostenibilità dei modelli tradizionali che prevedono l’impiego del legno, degli scarti agricoli, delle biomasse tradizionali.
Secondo stime del World Energy Outlook 2006, un miliardo e seicento mila persone vivono nel mondo senza elettricità, molte delle quali nell’area Sub sahariana e dell’Asia del Sud. È una situazione inaccettabile da un punto di vista economico, sociale e anche morale. Eppure, guardando al 2030, lo IEA 2008 WEO stima che ancora 1,4 miliardi di abitanti non avranno alcuna forma di accesso all’energia elettrica. Due terzi di questi vivranno nell’Africa sub sahariana.
Venendo al secondo aspetto della povertà energetica, secondo le nostre stime ad oggi 2,5 miliardi di persone usano forme tradizionali e non sostenibili di energia quali il solo legno, il carbone da legna, i rifiuti agricoli. Certamente in Africa, ma anche in Asia e nell’America Latina. Queste fonti hanno anche un pesante impatto sociale su donne e bambini. Uno studio congiunto IEA - World Health Organization ha calcolato che ogni anno un milione e mezzo tra donne e bambini muoiono prematuramente per problemi respiratori causati dalla scorretta combustione in ambito domestico.
Lo studio 2008 WEO includeva anche un’analisi specificamente dedicata a 10 Paesi dell’Africa sub sahariana esportatori di petrolio e gas naturale. Nonostante l’abbondanza di risorse interne, proprio in questi Paesi si rilevavano grossi problemi di povertà energetica: il 65 per cento della popolazione residente in quei Paesi non aveva accesso all’elettricità, e il 75 per cento era costretto ad affidarsi alla sola combustione del legno per cucinare, con le implicazioni già menzionate.
Le nostre analisi dimostrano che la povertà energetica sarebbe facilmente superabile con le risorse già oggi a disposizione di quei Paesi. Basterebbe lo 0,4 per cento delle revenue riconosciute a queste dieci nazioni per le esportazioni di oil&gas per superare le attuali condizioni di energy poverty.
La crisi finanziaria non faciliterà certo il compito.In effetti il taglio generalizzato nel settore della generazione rappresenta un impedimento non trascurabile nella lotta alla povertà energetica. La stima di 1,6 miliardi di persone senza accesso all’energia elettrica potrebbe addirittura crescere nel prossimo futuro. Per alcune famiglie potrebbe diventare insostenibile la spesa dell’energia elettrica; mentre la stretta finanziaria potrebbe impedire l’allacciamento di nuove utenze.
© OECD/IEA, 2009. This interview was originally given in English and the IEA takes no responsibility for the accuracy
or completeness of this translation, which has been prepared under the sole responsibility of Roberto Vigotti,
Scientific Advisor, Nuova Energia.
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