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Tognacca:"Stiamo pensando ald un gasdotto Albania-Italia" Stampa E-mail
di Dario Cozzi

Alla fine degli anni Novanta il concetto di “mercato unico europeo dell’energia” aveva raggiunto un livello per molti versi esasperato.
I processi di liberalizzazione in atto nei vari Paesi europei erano interpretati come un’opportunità pressoché illimitata, e senza confini.
Giusto per fare un esempio, si pensava di poter indurre il cliente - anche il più piccolo - di una qualsiasi nazione (per esempio il Portogallo) ad acquistare energia elettrica da un produttore situato in un qualsiasi altro Stato, distante magari parecchie centinaia di chilometri (perché no, la Norvegia).
Il tutto perfezionando il contratto via web. In quello scenario avrebbe potuto operare un gran numero di soggetti (e, infatti, alcuni trader americani mostrarono notevole interesse al mercato comunitario), non necessariamente di grandi dimensioni. Ma era uno scenario irreale, poiché dava per scontato che non ci fosse alcuna barriera logistica o in termini di rete di trasporto. Poi, qualcosa è cambiato, la fase di euforia ha lasciato il posto a un ripensamento diffuso.
È utile capire cosa sia successo attraverso l’esperienza di una realtà come EGL, in assoluto tra le prime a muoversi sullo scacchiere europeo durante le fasi iniziali della liberalizzazione.
“I blackout in Europa - commenta a caldo Raffaele Tognacca, amministratore delegato di EGL Italia - hanno innegabilmente dato una scossa all’ambiente; sono stati un po’ il punto di svolta”.

In che senso?
Ci si è resi conto che l’approccio precedente aveva messo in secondo piano due elementi strategici: il problema degli approvvigionamenti e la questione del mix energetico. È stata la “rivincita degli ingegneri”, rispetto al mero approccio finanziario.
In parallelo si è verificato un risveglio da parte dei maggiori player, con processi di aggregazione e consolidamento in un contesto di tensioni tra i vari Stati membri. Ciò, naturalmente, ha evidenziato la necessità di coordinare meglio le politiche di apertura dei vari Paesi.

Torniamo indietro di qualche anno: perchè il Bel Paese era così appetibile?
L’interesse per l’Italia nasceva dalla differenza dei prezzi del kWh rispetto alla media europea, forbice che si è mantenuta elevata almeno fino a un paio di anni fa. Il parco centrali era molto dipendente dagli idrocarburi, vetusto e con bassi rendimenti.
Chiaramente un investimento sui cicli combinati a gas naturale si dimostrava remunerativo.
C’è stata quindi una stagione molto florida, non solo per operatori direttamente interessati al mercato italiano, ma anche per società developper che sviluppavano progetti da rivendere sul mercato dei possibili produttori.

EGL è stata tra le società più attente alle opportunità di casa nostra...
In realtà EGL già negli anni Settanta aveva realizzato con Enel una linea di interconnessione per la fornitura di energia elettrica all’Italia. Con la fine del monopolio è venuta a mancare la controparte contrattuale unica, l’Enel appunto, ma non la nostra capacità di immettere energia elettrica sulla rete italiana. Dopotutto avevamo sul confine italiano una “centrale virtuale” di 500 MW di potenza. Da qui la decisione di costituire EGL Italia, per cercare direttamente sul mercato i nostri nuovi clienti…

Come si è sviluppata, poi, la vostra presenza in Italia?
Quella “centrale virtuale” non era sufficiente per supportare i nostri obiettivi di crescita; da qui la decisione di produrre direttamente sul mercato italiano. Abbiamo subito fatto la scelta strategica di non ricorrere all’acquisizione di impianti già esistenti (per questo non abbiamo partecipato alle gare per le Genco) ma di sviluppare progetti greenfield, in partnership con soggetti locali.
Il nostro target di riferimento finale è di circa 20 TWh all’anno, di cui 14 verranno dalle centrali italiane.

A quali soggetti saranno destinati?
Clienti industriali, medi e piccoli, fino alle partite Iva; comunque al di sopra dei 100.000 kWh all’anno di consumo.
Non abbiamo intenzione di entrare sul mercato domestico.
Vorrei aggiungere che l’Italia si conferma il maggiore mercato di crescita del gruppo a livello internazionale.

Quale è la vostra formula vincente?
Effettivamente, se guardiamo all’esperienza italiana, in pochi anni siamo riusciti a concretizzare quattro progetti.
Potrei anche dire che in altre aree d’Europa sarebbe stato più difficile… Credo che noi, a differenza di altri, siamo riusciti a interpretare meglio il mercato.
La Svizzera è una realtà multiculturale e quindi l’approccio di una società elvetica come EGL, rispetto a quello tipico dei grandi Gruppi tedeschi o americani, è stato più graduale, con maggiore attenzione al territorio e alle sue esigenze specifiche.
Comunque non nascondo qualche preoccupazione per il futuro…

Che cosa la preoccupa di più, in proiezione?
Abbiamo investito un miliardo di euro sui cicli combinati a gas. Con queste tecnologie i costi della materia prima gas incidono per i due terzi sul totale dei costi di produzione.
Sul mercato italiano non ci sono reali alternative all’Eni e ciò ci preoccupa; in un contesto di incompiuta liberalizzazione del mercato gas il rischio è quello di restare penalizzati…
Come possibile soluzione stiamo pensando alla realizzazione di un gasdotto tra Albania e Italia, opera per la quale siamo pronti ad allearci con altri soggetti.
Poi c’è la questione scottante dell’emission trading. L’implementazione italiana della Direttiva europea per l’allocazione delle quote non ha posto adeguata attenzione agli operatori del settore elettrico che stanno investendo sulle nuove tecnologie a maggiore efficienza.
Nella situazione attuale potremmo trovarci di fronte a un aggravio dei costi di produzione fino al 15 per cento. Margini di recupero ci sono, ma è chiaro che il nuovo piano di allocazione dovrà mostrare una maggiore sensibilità a questi aspetti.
Un terzo ambito di timore, più in generale, riguarda il “clima politico” che si sta respirando in Europa. Molti Paesi, come Francia e Germania, si stanno chiudendo a riccio nei confronti degli operatori stranieri.

Se le aziende italiane sono considerate intruse all'estero, l'Italia potrebbe comportarsi allo stesso modo...

È proprio l’ipotesi che vogliamo scongiurare. È importante che siano garantite le condizioni di mercato a quegli operatori che hanno creduto nell’Italia, perché possano portare a termine i loro progetti e avere il giusto riconoscimento dal mercato.

Mai preso in considerazione l'idea di "abbandonare" l'Italia?
Mai. Riteniamo ancora strategico questo mercato.

Gas naturale, e poi? Nelle strategie EGL c'è spazio per altre fonti?
Per ora abbiamo fatto una scelta tecnologica precisa, ma in futuro potremmo anche valutare altre fonti e opportunità.

Le rinnovabili, ad esempio?
Certo, anche se – almeno per il momento – non in veste di produttori diretti. Già oggi siamo i principali trader di Certificati Verdi e questa è la strada che vogliamo percorrere anche nell’immediato futuro: operare come intermediari, mettendo in campo competenza, affidabilità, garanzie di acquisto...
Insomma, agire più sul software che sull’hardware.



 
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