3 ottobre 2009 - Brave, buone... ma un po’ troppo care. E in grado di tenere il passo delle fonti tradizionali solo grazie a consistenti aiuti. Il curriculum pressoché immacolato delle fonti rinnovabili sembra essere ancora oggi sporcato da quel vizio di origine di essere fuori mercato e di dover ricorrere a consistenti sussidi. Almeno negli Usa si tratterebbe però solo di una leggenda metropolitana. Anzi, di un luogo comune da sfatare.
Secondo un recente report elaborato dall’Environmental Law Institute, infatti, nella realtà americana i sussidi federali virano decisamente più al nero che al verde. Secondo questo studio, nel periodo fiscale 2002-2008 le fonti tradizionali avrebbero ricevuto 70,2 miliardi di dollari. Poco meno di 54 miliardi sotto forma di benefici fiscali, i restanti 16 e spiccioli come direct spending.
L’universo delle rinnovabili, nelle sue varie forme, si sarebbe invece dovuto accontentare di soli 29 miliardi di dollari. Alle rinnovabili tradizionali il report assegna un ammontare totale di 12,2 miliardi di euro, mentre i restanti 16,8 sarebbero serviti per le politiche di supporto ai biofuel e in particolare per gli aiuti alle coltivazioni di corn ethanol. Solo le briciole per i programmi di cattura e sequestro dell’anidride carbonica: 3,2 miliardi di dollari nei sette anni considerati.
Sul totale dei sussidi (poco più di 100 miliardi di dollari nel periodo preso in esame) il solare, l’eolico e le altre tecnologie di generazione verde si sarebbero dunque visti assegnare una fetta assai contenuta, pari a un marginale 12 per cento.
Probabilmente il discorso varierebbe - e parecchio - se si considerassero i sussidi non a livello cumulato bensì in termini relativi, ovvero valutando l’apporto in Tep di ogni singola fonte. In quel caso, chiaramente, il peso delle fonti tradizionali risulterebbe nettamente ridimensionato. Ma resta il fatto che anche oil, gas e carbone passano alle casse federali degli States! Insomma, chi è senza sussidio scagli la prima pietra...