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IL GIORNALIERO - EU 2000-2006: il numero delle aziende energetiche ha fatto boom Stampa E-mail

18 settembre 2009 - Dopo la new economy - che, a prescindere dalla crisi contingente, qualche segnale di stanchezza lo sta dando ormai da alcuni anni - è giunto il momento della watteconomy.
Sarà merito del processo di liberalizzazione che ha alleggerito l’Europa - non tutta, a dire il vero - da monopoli granitici; e certamente anche della corsa alle rinnovabili, che ha dato un proprio importante contributo. E ancora, l’allargamento ad Est dell’Unione europea non è stato un fenomeno secondario... Fatto sta che negli ultimi anni in Europa si è registrato un vero e proprio boom di aziende energetiche, operanti nel settore elettrico, gas e nella distribuzione dell’acqua.
I dati pubblicati da Eurostat, a metà settembre, purtroppo non brillano per la tempestività e l’aggiornamento: si fermano, infatti, alla fine del 2006. Illustrano comunque una situazione nella quale lo european energy sector si mette in luce per l’elevato tasso di natalità, difficile da trovare in altri comparti dell’economia.
Dal 2000 al 2006 il numero di aziende energetiche attive sul territorio comunitario è cresciuto del 52 per cento. Eccezionale la performance della Spagna (più 304 per cento con una drastica accelerazione tra il 2005 e il 2006). Sotto i riflettori anche il Portogallo (più 217 per cento), l’Ungheria (più 201 per cento), la Bulgaria (più 153 per cento), l’Austria (più 157 per cento). Francia e Italia si sono mosse in linea con l’Europa nel suo complesso (più 49 per cento per entrambe).
Curioso il caso della Danimarca. Nonostante questa nazione sia accreditata come uno dei simboli della nuova imprenditoria nel settore delle rinnovabili, è andata incontro a un secco ridimensionamento del numero di aziende energetiche (meno 25,3 per cento). Ed è il solo Paese ad aver perso terreno, assieme all’Estonia.
L’euforia che comunicano questi dati è confermata - e addirittura rafforzata - da un altro elemento. Le circa 22 mila imprese censite da Eurostat impiegavano nel 2006 il 3 per cento della forza lavoro del comparto industriale europeo. Ma generavano - all’interno di questo stesso settore - ben il 9 per cento del valore aggiunto. Attività, insomma, ad alta redditività.

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