di Ugo Farinelli
Trent’anni fa - giorno più, giorno meno - gli Stati Uniti scoprivano che l’energia non è un bene comune che la natura ci mette a disposizione gratuitamente e in quantità illimitata, come l’aria (e per chi ha la fortuna di averne in abbondanza, anche l’acqua). Questa percezione, giustificata dai bassissimi prezzi del petrolio fino al 1974, e dalle illusioni sul basso costo dell’energia nucleare (too cheap to meter, troppo a buon mercato perché valga la pena di misurarne il consumo, secondo l’espressione di Alvin Weinberg) doveva essere smantellata solo con la seconda crisi petrolifera, quella del 1979-1980 conseguente alla guerra Iran-Iraq.
Ricordo a quell’epoca, essendo a Washington, un invito da parte del Department of Energy (il DoE, creato nell’agosto 1977 come successore dell’ERDA, Energy Research and Development Agency) a visitare un progetto innovativo di risparmio energetico nell’industria, destinato ad aprire nuovi orizzonti per l’uso razionale dell’energia. Incuriosito, andai a vedere questo stabilimento tessile nel Maryland. Ebbene, la novità introdotta era stata la scoperta che non era necessario, nel reparto stiratura dove si liberava una gran quantità di calore, tenere il sistema di condizionamento dell’aria funzionante a pieno regime tutto l’anno, ma che d’inverno era sufficiente aprire le finestre!
Cito questo episodio personale, perché mi sembra che rappresenti bene la dimensione culturale dello spreco energetico di quei tempi negli Stati Uniti, in un modo che non sarebbe stato concepibile in Europa con i suoi prezzi tradizionalmente molto più elevati dell’energia. [...]
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