di Dario Cozzi
Non è soltanto una questione di hardware. In gioco entra anche il software, e con un ruolo non certo marginale. Quando si parla di efficienza energetica la tentazione è spesso quella di semplificare il discorso, limitandosi a considerare come interventi efficaci quelli sui componenti materiali: un nuovo motore, una lampada a risparmio energetico, una turbina di ultima generazione in sostituzione di una ormai datata... In realtà il discorso è molto più complesso, e nel concetto lato di uso più efficiente delle risorse energetiche entrano anche i comportamenti, i sistemi di controllo, l’educazione ad un impiego più razionale di quanto si ha a disposizione, le smart grid.
Dimenticandosi per un attimo di kWh e Mtep, si può chiedere in prestito al settore idrico un semplice esempio. Come noto, il sistema di adduzione dell’acqua potabile è altamente inefficiente per le notevoli perdite che si verificano in fase di trasporto. Tra le possibili soluzioni al problema, la realizzazione ex novo della rete di tubazioni sarebbe una scelta in grado di migliorare in maniera tangibile l’efficienza del sistema. Ma è chiaro che si tratta di una soluzione difficile da attuare nel concreto, su larga scala, nel breve periodo. Una alternativa - forse più praticabile - sarebbe quella di gestire il flusso dell’acqua con frequenza variabile, riducendo nelle ore di minore domanda la pressione delle pompe. Attraverso questo intervento sarebbe possibile risparmiare energia elettrica e ridurre le perdite di acqua... senza neppure sostituire un tubo; agendo sulle condizioni di funzionamento del sistema anziché sul sistema stesso.
Prende spunto da questa considerazione l’intervista rilasciata a Nuova Energia da G. B. Ferrari, responsabile per l’Italia della divisione Power Systems di Abb: “L’efficienza energetica è un ambito di intervento estremamente ampio che riguarda l’efficientamento del singolo prodotto (uso meno energia a parità di prestazione), ma anche una diversa modalità di utilizzo di un sistema. Nell’ottica di migliorare l’efficienza energetica si può agire in fase di generazione, ma anche di trasmissione e distribuzione, oltre che di utilizzo finale. Si può dunque intervenire lungo l’intera catena dei processi energetici: dall’estrazione del combustibile fossile alla grande centrale, ai sistemi industriali, agli usi finali. Purtroppo, spesso non si riescono a cogliere tutte le sfaccettature del problema e si ha dunque un approccio solo parziale”.
Proviamo dunque a ricostruire la filiera dell’efficienza energetica...
Il primo step è quello della primary energy production. Si tratta di fornire soluzioni per estrarre con un minor dispendio di energia e con minori perdite petrolio, gas naturale, carbone. Oppure, attraverso adeguate tecnologie, di prolungare la vita utile di giacimenti altrimenti esausti. Entrano in gioco anche tecnologie all’avanguardia per ottimizzare i processi di liquefazione del gas all’interno di un impianto LNG.
Passaggio successivo?
Quello dell’energy efficiency in transport. Mi limito, al riguardo, a qualche esempio. I sistemi compatti Abb per la propulsione navale consentono alle navi da carico (ma anche a quelle da crociera) di risparmiare carburante, di creare più spazio a bordo e di migliorare la manovrabilità. Le nostre turbosoffianti sono installate su oltre il 50 per cento delle petroliere e delle portacontainer nel mondo... Allo stesso modo, “dietro” a una rete di pipeline c’è un sistema complesso di stazioni di compressione che, adottando tecnologie all’avanguardia, possono permettere significativi risparmi in termini energetici.
Terzo step, la power generation...
È vero. Pensiamo al carbone, attualmente la fonte fossile più utilizzata. Dal 1970 ad oggi l’efficienza media degli impianti alimentati a combustibile solido è raddoppiata, passando dal 20 al 40 per cento. Eppure, un moderno impianto di cogenerazione in grado di utilizzare il calore prodotto durante la combustione (per esempio, per alimentare una rete di teleriscaldamento), potrebbe arrivare a un’efficienza dell’85 per cento! I margini sono quindi – potenzialmente – ancora molto elevati. Lo stesso si può dire per il quarto tassello del mosaico, la power transmission. Le perdite, in fase di trasmissione, oscillano tipicamente tra il 6 e l’8 per cento. Ma non di rado superano il 10 per cento. La Commissione europea ha ad esempio stimato che applicando le migliori tecnologie già oggi disponibili sarebbe possibile tagliare le perdite in rete di ben 48 TWh all’anno, valore pari al consumo di 13 milioni di abitazioni. Una risposta importante, al riguardo, giunge dalle tecnologie HVDC e UHVDC.
Arriviamo a questo punto agli utilizzatori finali?
Sì, il percorso intrapreso si conclude con l’efficiency in industry e quella in commercial e residential buildings. Nel primo caso basti un dato: l’industria consuma attualmente circa il 42 per cento della generazione elettrica in Europa; e il 67 per cento di questa energia serve per alimentare i motori. Quanto al settore domestico, è responsabile del 38 per cento della domanda finale di energia, in particolare per il riscaldamento, il raffrescamento e il funzionamento degli elettrodomestici. Su questi tre elementi è possibile intervenire con risultati tangibili sulla bolletta, senza minimamente compromettere la qualità del vivere e dell’abitare.
In questa fase di crisi tutti sono d’accordo sul fatto che occorre anche una svolta energetica. Si parla però molto di rinnovabili e meno di efficienza energetica. Per quali ragioni?
In primo luogo, non vedo contraddizioni tra il potenziamento della quota di generazione da fonti rinnovabili, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, la promozione dell’efficienza energetica. Credo, per altro, che il tema dell’efficienza energetica sia molto sentito in questa fase congiunturale, per lo meno per quanto possiamo percepire dal contatto con i nostri clienti. In questa situazione di incertezza economica è difficile bussare alla porta di un imprenditore proponendo un (generico) investimento in nuova tecnologia. Se, tuttavia, le parole chiave nell’approccio sono risparmio e ottimizzazione, le risposte non mancano. Il tema non è dunque passato di moda; è attuale e non soffre la concorrenza dello sviluppo delle rinnovabili.
Per altro, gli investimenti in efficienza energetica sembrano immuni dalla Sindrome Nimby, che tanto sta condizionando il settore, anche in tema di rinnovabili.
Questo è vero, ma solo in parte. Se si pensa all’efficienza energetica come ad un intervento sull’esistente per ridurre i consumi, effettivamente possiamo affermare che è immune da fenomeni di opposizione o rifiuto. Ma, come detto in precedenza, potrebbero esserci realizzazioni che, inevitabilmente, investono anche aspetti di impatto ambientale. Pensiamo, ad esempio, alla realizzazione di una nuova linea di trasmissione con tecnologia HVDC. Effettivamente può migliorare l’efficienza di un sistema da molti punti di vista; ma in quanto infrastruttura, potrebbe andare incontro a fenomeni Nimby.
La stessa Commissione europea, malgrado gli impegni del 20-20-20, sembra essersi ultimamente un po’ distratta sul tema dell’efficienza. Solo un impressione? E quanto può aver giocato, al riguardo, la crisi in atto? Sinceramente non ho colto questo tipo di situazione e non penso che sia venuto meno l’interesse generale. Piuttosto potrebbe esserci stata una sovraesposizione di qualche altro tema. Quanto alla crisi, una riduzione dei consumi energetici si è evidenziata chiaramente negli ultimi mesi. E questo fenomeno potrebbe far pensare a un (temporaneo) calo di interesse nei confronti dell’efficienza: già si contrae la richiesta di kWh rispetto ai trend previsti negli anni scorsi, perché intervenire ulteriormente…? In realtà è vero l’esatto contrario. La recessione deve diventare un’occasione per riprendere e rivalutare il tema dell’efficienza. Per uscire dalla crisi occorre essere più competitivi, quindi bisogna investire in innovazione e ridurre i costi di produzione. Una delle strade maestre da percorrere è proprio quella di contenere i consumi energetici accelerando gli investimenti in questa direzione. In tempi di forte crescita economica si può anche chiudere un occhio sui costi della bolletta; adesso non ne vale davvero la pena…
Come giudica il quadro normativo di riferimento in Italia e gli strumento di incentivo attualmente in essere?
Sui Certificati Bianchi l’Italia si è mossa per tempo e ha avuto buoni risultati; per altri aspetti – in particolare la trasmissione e la distribuzione – servirebbero ulteriori interventi. Credo, tuttavia, che il nodo della questione sia un altro. A prescindere dai contenuti del quadro normativo di riferimento, è fondamentale poter operare in un contesto di regole stabili e con tempistiche certe sulla realizzazione. La crisi che nelle scorse settimane ha investito la Formula 1 lo insegna: senza una adeguata prospettiva temporale, all’interno della quale si può essere certi che non cambieranno le regole, non si va da nessuna parte. Per questo è fondamentale legare il discorso degli incentivi alla durata; avere scadenze e tempi limitati o incerti può condizionare parecchio.
Anche gli ultimi dati della Commissione europea (Rapporto 2009 Eu energy and transport in figures) confermano che l’Italia è comunque uno dei Paesi virtuosi all’interno dell’Unione Europea. Nonostante ciò, quali margini di intervento restano a suo avviso?
È sicuramente vero che su numerosi aspetti l’Italia ha saputo lavorare bene. Se, per esempio, consideriamo la generazione, i margini di ulteriore miglioramento nel parco centrali presente nel nostro Paese sono decisamente più contenuti rispetto alla maggior parte delle altre economie avanzate. Già in fase di realizzazione, l’attenzione che la scuola italiana pone è molto forte. La numerosità di punti che si vanno a considerare e a controllare nel nostro Paese non ha praticamente eguali all’estero. A livello di rete, l’aspetto gestionale e tecnologico è di livello eccellente; resta però la questione infrastrutture, con notevoli possibilità di miglioramento soprattutto in vista di un ulteriore incremento dell’apporto della generazione distribuita e, più in generale, delle rinnovabili. Come già detto in precedenza, la difficoltà di implementare nuovi progetti in questo campo si traduce, inevitabilmente, in una perdita di efficienza. A livello domestico il campo è molto ampio e investe anche la qualità del costruito; sicuramente i margini di miglioramento sono notevoli.
Come giudica lo strumento delle Esco? Ha funzionato nel nostro Paese?
Sono sicuramente uno strumento utile e, ormai, adeguatamente utilizzato. La Esco recita un ruolo importante nella filiera dell’efficienza energetica; è un attore di rilievo del quale un’azienda come la nostra è nello stesso tempo partner e fornitore di tecnologie e servizi. Detto questo, credo che un frazionamento spinto degli interventi, senza un necessario controllo, un coordinamento, una integrazione, potrebbe portare a risultati solo parziali. Non si può quindi pensare di delegare alle singole Esco in toto la realizzazione di interventi di efficienza energetica; occorre una visione di insieme più ampia che, appunto, sia in grado di proporre e attuare anche soluzioni di sistema.
Su quali tecnologie Abb ha puntato e punterà nei prossimi anni?
Siamo interessati a tutta la filiera. Detto questo, è importante segnalare il valore aggiunto che una realtà industriale come la nostra può mettere in campo: la componente umana di know-how, che oltre a trasferirsi nei singoli prodotti, permette di interpretare al meglio le diverse situazioni che si devono affrontare. È la capacità di cogliere un’esigenza generale, per poi modulare di volta in volta i singoli interventi sulle esigenze dello specifico mercato o cliente.
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