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PAUSA-ENERGIA
 
Il rebound effect gioca a favore dei biocombustibili Stampa E-mail

di Paolo Iora - dipartimento di Ingegneria meccanica e industriale, Università degli studi di Brescia


Il continuo aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera e le dibattute ripercussioni sul riscaldamento del Pianeta hanno promosso negli ultimi anni una serie di interventi di politica energetica miranti a contrastare l’aggravarsi di questo fenomeno. Qualunque sia l’opinione relativa all’opportunità delle strategie intraprese, va riconosciuto che queste conducono di norma ad interventi virtuosi, che vanno dal maggiore uso di energie rinnovabili, alla diversificazione delle fonti, all’aumento dell’efficienza energetica. In particolare l’effetto di questo ultimo aspetto - l’aumento dell’efficienza energetica - si manifesta attraverso un minore consumo di fonti di energia primaria a parità di servizio reso, che determina a sua volta una riduzione di emissioni climalteranti.

Questa affermazione apparentemente scontata, si presta in realtà a qualche considerazione non banale, della cui consistenza vorrei trattare in questo articolo. La discussione verte sopra il seguente quesito: è corretto affermare che un aumento di efficienza energetica porta invariabilmente ad un risparmio di fonti primarie? Ebbene, la risposta può essere negativa, e argomentabile tecnicamente con alcuni elementari concetti di economia: dato che un aumento dell’efficienza di conversione di un generico processo riduce il costo marginale dei prodotti, la quantità domandata di questi ultimi tende ad aumentare, in accordo con l’andamento decrescente, nel piano quantità-prezzo, della curva di domanda di un bene. Il concetto ha il pregio di chiarirsi immediatamente se applicato ad un caso concreto. [...]

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