di Guido Possa, senatore
Da oltre cinquant’anni sono in corso nei principali Paesi industriali imponenti sforzi di ricerca sulla fusione nucleare. Questa fonte energetica, di straordinaria importanza nella dinamica dell’Universo (ad essa si deve, come sappiamo, l’energia irradiata dal Sole), è caratterizzata da eccezionali rese energetiche.
Nella reazione nucleare di fusione su cui attualmente si concentrano le ricerche, quella della fusione di deuterio (D) e trizio (T), due isotopi dell’idrogeno,
D + T = He (3,5 MeV) + n (14,1 MeV)
un chilogrammo della miscela di questi due elementi, portato totalmente a fusione, produce l’energia sviluppata dalla combustione di 8.200 tonnellate di petrolio. Senza emettere gas serra nell’atmosfera.
I prodotti di questa reazione di fusione sono un neutrone (n) e un nucleo di elio (He), nucleo elettricamente carico (perché con due protoni). L’energia liberata è di 17,6 MeV, per l’80 per cento come energia cinetica del neutrone e per il 20 per cento come energia cinetica del nucleo di elio (1 MeV equivale a 1,60 x 10-13 joule). Il deuterio è molto abbondante sulla Terra (un chilogrammo di acqua ne contiene 18,75 milligrammi) ed è facilmente ricavabile per separazione isotopica dall’idrogeno naturale. Il trizio è invece rarissimo, ma è prodotto in abbondanza nei reattori a fissione moderati ad acqua pesante ed è ottenibile dal litio mediante reazioni nucleari, utilizzando i neutroni prodotti nella reazione di fusione D + T.
Purtroppo le difficoltà scientifiche e tecnologiche per far avvenire le reazioni nucleari di fusione in impianti industriali sono enormi. Tali difficoltà sono originate dal fatto che i due nuclei da portare a fusione hanno carica elettrica positiva (dovuta, nel caso del deuterio e del trizio, alla presenza di un protone in ciascuno dei due nuclei) e in quanto tali sono soggetti ad una forza di repulsione inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Se la distanza tende a zero, tale forza tende all’infinito. La fusione diventa possibile solo se i due nuclei da “fondere” entrano nel raggio di azione delle potenti forze attrattive nucleari, che agiscono entro dimensioni poco superiori a quelle del nucleo. Per superare la repulsione coulombiana e far avvenire la reazione di fusione è quindi necessario o avvalersi di forze di compressione gigantesche (quali quelle sviluppate dallo scoppio di una bomba atomica a pochi decimetri di distanza, ed è ciò che succede nelle bombe H), o elevare la temperatura dei nuclei che devono fondere a centinaia di milioni di gradi, in modo che l’energia cinetica associata all’altissima temperatura possa consentire di scontrarsi a due nuclei casualmente diretti uno contro l’altro dalla agitazione termica. È questo secondo il metodo scelto finora nella gran parte delle ricerche per le utilizzazioni civili dell’energia da fusione nucleare.
A temperature di milioni di gradi lo stato della materia, denominato plasma, è formato da nuclei (carichi positivamente) ed elettroni (carichi negativamente). Non vi è alcun materiale che possa contenere plasmi operanti a tali temperature. Questi plasmi caldissimi, essendo formati da particelle elettricamente cariche, possono però rimanere confinati all’interno di opportuni tubi magnetici, ottenuti mediante opportuni campi magnetici molto elevati.
Tra le varie macchine a confinamento magnetico studiate in questi decenni quella che va per la maggiore è la macchina a configurazione toroidale tipo tokamak (acronimo russo che significa “camera toroidale con bobine magnetiche”). In sintesi, il tokamak è costituito da una camera tubolare metallica chiusa a forma di anello (detta camera toroidale) e da opportuni dispositivi elettrici atti a determinare all’interno della camera toroidale un elevato campo magnetico a forma tubolare entro cui rimane racchiuso il plasma ad altissima temperatura (che non riesce perciò a entrare in contatto con la parete metallica della camera toroidale). È in questo volume che hanno luogo le reazioni di fusione. I dispositivi elettrici sono costituiti da conduttori avvolti a spira percorsi da elevatissime correnti elettriche.
Riscaldare un plasma fino alle temperature di decine e decine di milioni di gradi in cui iniziano a verificarsi reazioni di fusione, è ovviamente estremamente difficile, perché il plasma tende per sua natura a raffreddarsi. Nelle ricerche sono stati sperimentati svariati metodi per riscaldare il plasma, tra cui in particolare il riscaldamento mediante correnti elettriche generate nel plasma, il riscaldamento mediante iniezione nel plasma di atomi neutri ad alta energia e il riscaldamento mediante onde elettromagnetiche. Ad altissime temperature inizia a dare il suo contributo il riscaldamento del plasma operato dai nuclei di elio generati nella fusione. Invece i neutroni da 14,1 MeV, che veicolano ben l’80 per cento dell’energia sviluppata, non interagiscono con il plasma e non potendo essere trattenuti dal campo magnetico fuoriescono dalla camera toroidale.
Sulle reali prospettive delle ricerche su tale fonte energetica, di evidente grande interesse generale, si è conclusa lo scorso giugno al Senato della Repubblica presso le Commissioni VII (Cultura) e X (Attività produttive) una approfondita indagine conoscitiva durata circa un anno. Diamo nel seguito una sintesi dei risultati di questa indagine, di cui lo scrivente è stato relatore. Le ricerche per l’utilizzazione civile dell’energia da fusione sono state finora svolte nei vari Paesi in modo sostanzialmente separato. Ci si è tuttavia progressivamente resi conto che i problemi scientifici e tecnologici da superare per lo sviluppo delle conoscenze necessarie all’utilizzazione civile di questa prodigiosa fonte energetica e i costi dei programmi di ricerca necessari hanno tali dimensioni da consigliare una messa in comune degli sforzi. Dopo trattative assai complesse (iniziate oltre venti anni fa), si è recentemente addivenuti ad una grande iniziativa internazionale congiunta: il reattore sperimentale ITER.
Ad ITER partecipano i principali Paesi che hanno svolto nel mondo ricerche nel settore della fusione nucleare e cioè l’Unione europea (che lo sostiene per il 45 per cento) e i seguenti sei Paesi (ciascuno con un onere del 9 per cento): Giappone, Stati Uniti, Russia, Cina, India e Corea del Sud. I lavori di costruzione di ITER sul sito di Cadarache in Francia sono iniziati da alcuni mesi.
ITER è una facility sperimentale per ricerche sulla fusione basata su un tokamak di grandi dimensioni, assai prossime a quelle ritenute ragionevoli per le future centrali elettronucleari commerciali.
La reazione di fusione che sarà sperimentata è la D + T. Obiettivo primario di ITER è raggiungere per la prima volta al mondo, sia pure in funzionamento impulsato (con durata dell’impulso di varie decine di secondi) la ragguardevole potenza termica di 500 MW, realizzando un guadagno Q almeno pari a 10 tra la potenza generata nella fusione e la potenza ausiliaria iniettata nel plasma per il suo riscaldamento. Finora la massima potenza raggiunta in impianti a fusione è stata di 16 MW con un guadagno Q pari a 0,16 (sull’impianto JET in UK nel 1997). ITER non produrrà alcuna potenza elettrica.
La costruzione di ITER dovrebbe concludersi nel 2019. Il suo costo è stato preventivato (nel 2001) pari a circa 5 miliardi di euro. Da allora sono state fatte importanti modifiche progettuali e i prezzi di alcuni componenti sono molto aumentati. Tali varianti porterebbero, secondo voci circolanti, ad un forte aumento del costo di costruzione, forse al suo raddoppio. Ciò potrebbe determinare un allungamento dei tempi di realizzazione. La successiva sperimentazione su ITER è prevista durare 25 anni. I principali obiettivi saranno i seguenti (tutti punti chiave per una centrale commerciale a fusione). Verrà studiata la complessa fisica del plasma nelle condizioni di funzionamento fino alla massima potenza di 500 MW, studiando in particolare le eventuali pericolose instabilità del plasma e le modalità da adottare per la loro riduzione o soppressione. Andrà sperimentato il funzionamento dei vari dispositivi per il riscaldamento del plasma, anche per individuare il dispositivo o i dispositivi più idonei per una centrale commerciale (dove le esigenze di affidabilità a lungo termine sono elevate). Occorrerà verificare il funzionamento dei magneti a superconduttore – una parte molto delicata e costosa dell’impianto ITER – che hanno il compito di realizzare all’interno della camera toroidale l’elevato campo magnetico (5,3 Tesla) necessario per il confinamento del plasma. Andranno sperimentati vari tipi di mantello (così vengono chiamate le parti d’impianto attorno alla camera toroidale).
Le principali funzioni svolte dal mantello in una centrale commerciale sono la ri-produzione del trizio (per reintegrarne il consumo) e il trasferimento ad un fluido refrigerante opportuno (acqua o elio a pressione e temperatura elevate) della potenza termica generata dalla fusione nella camera toroidale. Per la ri-produzione del trizio saranno fatte avvenire nel mantello reazioni nucleari basate sui neutroni ad alta energia (14,1 MeV) prodotti nella fusione, sia reazioni con il berillio per la moltiplicazione dei neutroni, sia reazioni con il litio per la produzione del trizio.
In ITER saranno inoltre sperimentate apparecchiature robotizzate per l’effettuazione di interventi manutentivi anche importanti sulle parti interne dell’impianto rese radioattive a causa dell’esposizione ai neutroni di fusione, in particolare nella camera toroidale e nel mantello. Questi interventi manutentivi potrebbero rendersi necessari a causa dei danneggiamenti prodotti su queste parti d’impianto dalle condizioni estreme di temperatura, flusso radiativo e flusso neutronico a cui devono operare.
ITER intende tuttavia essere non solo una importantissima sperimentazione di fondamentali funzioni di un reattore a fusione, ma anche il primo passo di una complessa Road Map avente come obiettivo finale la messa a punto delle conoscenze necessarie per la costruzione e l’esercizio di una centrale commerciale per la produzione di energia elettrica basata sulla fusione nucleare. Tale Road Map prevede in particolare, oltre ad ITER e al rilevante sforzo di ricerca e sviluppo di accompagnamento (finanziato dall’Unione europea e dal Giappone), due altre grandi iniziative: la facility IFMIF (International Fusion Materials Irradiation Facility), dove sarà studiato il danneggiamento dei materiali prodotto dai neutroni di 14,1 MeV generati nella reazione di fusione, e il reattore di grande potenza DEMO, dove saranno provati a lungo termine, in condizioni operative identiche a quelle previste per la centrale elettronucleare commerciale, tutti i componenti dell’isola nucleare.
La pregevole sperimentazione che sarà fatta in ITER, vista nell’ottica della Road Map, presenta tuttavia alcuni evidenti limiti. In primo luogo ITER non consentirà una adeguata esplorazione di tutte le condizioni del plasma di interesse per un reattore commerciale. Chiariamo meglio questo punto. L’obiettivo di ITER è di riuscire a raggiungere un valore pari a 10 del rapporto Q tra la potenza sviluppata nella fusione e la potenza di riscaldamento ausiliario iniettata nel plasma. Per inciso, non sarà affatto facile conseguire tale obiettivo. Ma per una centrale elettronucleare commerciale a fusione il funzionamento a regime con Q = 10 è inaccettabile, come evidenziano i seguenti numeri. Per una centrale con una potenza termica di 2.500 MW (un valore tipico) il funzionamento con Q = 10 comporterebbe una potenza di riscaldamento ausiliario iniettata nel plasma di 250 MW. Per generare questi 250 MW nel plasma occorrerebbe una potenza elettrica complessiva di alimentazione dei dispositivi di riscaldamento ausiliario non inferiore a 750 MW (=250/0,33), avendo supposto un rendimento medio di tali dispositivi del 33 per cento, un valore molto elevato, di conseguimento problematico (attualmente i rendimenti di questi complessi dispositivi non superano il 20 per cento).
D’altra parte, la potenza elettrica generata dal reattore, nell’ipotesi ottimistica di un rendimento complessivo della centrale del 40 per cento, sarebbe di 1.100 MW (= 0,4 x 2.750 MW; dove 2.750 MW = 2.500 MW + 250 MW). In sintesi con Q = 10 il 68,2 per cento della potenza elettrica generata dalla centrale sarebbe necessario per il riscaldamento ausiliario del plasma: un valore evidentemente inaccettabile.
In sostanza un reattore commerciale a fusione deve funzionare a regime con valori di Q ben superiori a 10. Quanto superiore non è facile precisare, ma in base a varie considerazioni un valore ottimale di Q potrebbe essere 50. Purtroppo la sperimentazione che sarà fatta su ITER, non potendo esplorare le condizioni di Q maggiore di 10, non coprirà tutte le esigenze di conoscenza di fisica del plasma indispensabili per un reattore commerciale. La Road Map presenta quindi una grave carenza. Un’altra problematica estremamente importante è quella del danneggiamento a lungo termine dei materiali dei componenti principali. Al riguardo, le indicazioni che saranno ottenute nel corso della sperimentazione in ITER saranno piuttosto limitate. In effetti ITER è un impianto di ricerca e nel corso della sua vita il numero complessivo di ore di funzionamento a piena potenza equivalente sarà ridotto. In particolare in ITER il flusso neutronico integrato nel tempo a cui saranno esposti i materiali dei componenti dell’isola nucleare sarà assai inferiore a quello prevedibile per una centrale commerciale e di conseguenza molto inferiore sarà il danneggiamento da radiazione neutronica.
D’altra parte per un reattore commerciale a fusione la piena adeguatezza a lungo termine del comportamento dei materiali dei vari componenti, in particolare di quelli dell’isola nucleare, costituisce una ovvia assoluta esigenza. Tale adeguatezza va garantita ex ante mediante un opportuno insieme di apposite sperimentazioni ottenute in condizioni simulanti perfettamente quelle operative. Purtroppo non si posseggono dati sperimentali adeguati sul danneggiamento prodotto dai neutroni di elevatissima energia (14,1MeV) generati nella reazione di fusione. Gli studi molto approfonditi effettuati nell’ambito dello sviluppo dei reattori a fissione, hanno ovviamente utilizzato i neutroni prodotti nella fissione nucleare, caratterizzati da energie ben inferiori (dell’ordine dei 2 MeV).
Per i reattori a fusione lo studio del danneggiamento da neutroni veloci sui materiali che si prevede saranno utilizzati, verrà effettuato mediante la facility IFMIF. Di questa complessa facility è attualmente in corso la progettazione, ma non è stato ancora stipulato l’accordo internazionale necessario per la sua realizzazione. I componenti della centrale elettronucleare dimostrativa saranno poi provati a piena scala nel reattore DEMO. Ci vorranno però svariati anni di funzionamento di DEMO prima di avere elementi sufficienti sul danneggiamento dovuto all’esercizio del reattore. In complesso i problemi di durata dei materiali utilizzati nell’isola nucleare dei reattori a fusione appaiono piuttosto seri. Come possibile soluzione di questi problemi si pensa di ricorrere con appositi interventi manutentivi alla sostituzione delle parti che risultino gravemente danneggiate. Dato l’ambiente radioattivo, tali interventi andranno effettuati mediante appositi robot, con opportuno controllo a distanza. Questi interventi sono stati previsti in ITER, che disporrà pertanto delle necessarie apparecchiature. Le caratteristiche di impianto di ricerca di ITER consentiranno, senza troppe difficoltà, manutenzioni straordinarie di questo tipo. Assai più complessa appare invece questa azione di sostituzione di parti di impianto nelle centrali elettronucleari commerciali a fusione.
Un’ultima considerazione. Il tempo necessario per la messa a punto di tutte le conoscenze fisiche e tecnologiche indispensabili per la progettazione e la costruzione della prima centrale elettronucleare a fusione dimostrativa è ancora molto lungo. La costruzione di ITER è prevista concludersi tra 10 anni, nel 2019. Occorreranno poi almeno 15 anni di effettiva sperimentazione su ITER (e in parallelo su IFMIF), per possedere tutte le conoscenze necessarie per la progettazione di DEMO. Nel 2034 potrà quindi iniziare la costruzione di DEMO, che richiederà 10 anni. Saranno poi necessari almeno 10 anni di sperimentazione su DEMO per ritenere sufficientemente qualificate tutte le conoscenze per la progettazione e la costruzione di una centrale elettronucleare dimostrativa a fusione. Solo nel 2054, tra 45 anni, potrà iniziare la realizzazione di tale centrale dimostrativa. E ciò a condizione che questi assai complessi programmi di ricerca e sperimentazione raggiungano gli obiettivi nei tempi previsti, non subendo alcun ritardo per difficoltà di finanziamento. E a condizione anche di riuscire ad elevare il guadagno energetico Q del plasma della centrale elettronucleare ad un valore quattro o cinque volte superiore al valore massimo di Q = 10 che sarà raggiunto nella sperimentazione su ITER.
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