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Emission trading: ecco la grande sfida della direttiva europea Stampa E-mail
di Matteo di Castelnuovo (ICF Consulting)
da Londra

I mercati europei dell’elettricità si trovano di fronte ad alcune importanti sfide in campo ambientale, causate da una legislazione sia nazionale sia europea, che diventa ogni anno più stringente. Fra queste sfide, una di quelle che avrà il maggior impatto sul settore elettrico è sicuramente quella della Direttiva sull’emission trading di CO2.
Per capire come mai sia soprattutto l’industria elettrica quella più coinvolta da tale Direttiva, basta ricordare che dei tre miliardi di tonnellate di CO2 emessi ogni anno in Europa, ben 900 milioni sono concentrati nel solo settore elettrico; di questi, 560 milioni sono emessi dalle sette maggiori utility, vale a dire Rwe, Enel, Eon, Vattenfall, Electrabel, Edf e la greca PPC. Solo i 9.500 MW di centrali a lignite di Rwe hanno emesso 87 milioni di tonnellate di CO2 nel 2001. Anche se tale Direttiva è tuttora in discussione al Parlamento Europeo e quindi alcuni dettagli possono ancora cambiare, è bene che ci rassegniamo all’idea che l’emission trading – e quindi il tetto alle emissioni di anidride carbonica – partirà e ciò avverrà prima di quanto si pensi. Infatti, la borsa dei fumi, come è stata spesso ribattezzata in Italia, partirà tra soli 18 mesi.
Ed il fatto che la si chiami “borsa” non vuol dire che la sua partenza possa essere rimandata di qualche anno, così come è successo con la borsa elettrica italiana. In questo caso la decisione è di tutta l’Unione Europea e non del solo governo italiano. Detto questo, credo anche sia lecito porsi una semplice domanda: se Francia e Germania sono riuscite ad impedire che venisse inserito nelle nuove Direttive sul gas e l’elettricità l’emendamento che prevede la separazione dei fondi per il decommissionamento del nucleare (tutti soldi a disposizione delle utility tedesche e francesi per continuare la loro campagna di acquisizioni), perchè altri Paesi non dovrebbero poter ottenere simili “regali” nell’ambito della Direttiva sull’emission trading? La risposta è rimandata a dopo l’estate.
Nel frattempo, tuttavia, la scadenza che più deve interessare tutti gli operatori europei coinvolti dalla Direttiva in questione è quella del 31 Marzo 2004: a quella data tutti i governi dell’Unione Europea dovranno aver consegnato alla Commissione Europea
per l’approvazione il proprio Piano Nazionale per l’Allocazione dei permessi di emissione da CO2.
Infatti, la proposta di Direttiva europea per l’emission trading stabilisce il funzionamento e le finalità dello schema, ma volutamente ne tralascia alcuni aspetti determinanti, la cui definizione viene invece affidata, come spesso accade nella legislazione comunitaria, ai singolo Stati. Questi Piani di Allocazione mostreranno come i vari Stati membri intendono distribuire all’industria miliardi di euro in permessi di emissione. Le società e i settori coinvolti devono darsi un gran da fare presso i governi al fine di ottenere un’allocazione che sia la più favorevole possibile. Ecco perché il Piano Nazionale di Allocazione è la variabile chiave di questo meccanismo e determinerà quali società/impianti ne otterranno un beneficio netto finanziario e quali invece ne sopporteranno il costo. Ed ecco anche perché è importante attrezzarsi il prima possibile con i dati necessari alla preparazione del Piano Nazionale di Allocazione. In questo senso, il nostro Paese rischia di essere in ritardo, dal momento che lo scorso aprile la Commissione Europea ha richiamato formalmente Italia, Spagna e Grecia per non aver fornito entro la scadenza di Dicembre 2002 i dati sulle emissioni e sulla sequestration per gli anni 2001 e 2002.

Ancora una volta ritengo utile osservare cosa stia accadendo in Gran Bretagna. Infatti, il Ministero dell’Ambiente inglese si è mosso per tempo con varie iniziative, tra le quali, per esempio, l’invio lo scorso 22 maggio a tutti gli operatori interessati di un documento di una decina di pagine in cui viene spiegato con chiarezza cos’è e come funziona l’emission trading, chi vi è coinvolto, cosa fare, la definizione della terminologia essenziale e quali sono le scadenze rilevanti. Tra l’altro già un anno fa la stessa Gran Bretagna aveva fatto partire una sorta di emission trading volontario, ottenendo dei buoni risultati in termini di riduzioni delle emissioni e di partecipazione, anche se il settore elettrico non era stato incluso. E tutto questo proprio in uno dei Paesi Ue che più è vicino a raggiungere gli obiettivi di Kyoto nel periodo 2008-2012 (assieme a Lussemburgo, Svezia, Francia, Grecia, Germania e Finlandia). L’importanza del Piano di Allocazione è anche una delle questioni fondamentali affrontate in uno studio recentemente pubblicato da ICF Consulting, dal titolo European Carbon Market Outlook, che analizza le conseguenze strategiche per gli operatori dei mercati elettrici europei, in seguito all’entrata in vigore della Direttiva sull’emission trading. Lo studio è stato condotto utilizzando l’Integrated Power Model per l’Europa, un modello di programmazione lineare che ha nel suo database tutte le centrali elettriche esistenti e programmate oltre alle principali linee di interconnessione. Tale modello identifica il metodo più economico di generazione per soddisfare la domanda di elettricità degli anni futuri nei vari mercati elettrici europei, con la condizione di rispettare determinati vincoli tecnici, finanziari ed ambientali.

I risultati più interessanti di tale rapporto sono un’accelerazione del passaggio al gas naturale in diverse regioni, l’inversione di rotta della tendenza ribassista dei prezzi dell’elettricità all’ingrosso e la crisi finanziaria di circa 38.000 MW di centrali elettriche inefficienti a carbone e ad olio combustibile nell’Ue, su un totale di oltre 615.000 MW. Per ciò che riguarda il Piano Nazionale di Allocazione, lo studio dimostra che le variabili determinanti per la maggior parte delle compagnie sono: la scelta dell’anno di riferimento per le emissioni; la determinazione dei tempi e la frequenza con cui sono assegnate i permessi di emissione; il prezzo di mercato dei permessi stessi. Se da un lato alcune centrali potrebbero veder crescere drasticamente il proprio valore, per l’aumento della produzione nonché dei prezzi all’ingrosso dell’elettricità, altre dovrebbero pensare ad una chiusura anticipata. I risultati definitivi, in ogni caso, dipendono dalla definizione delle regole di allocazione.

Per esempio, i costi aggiuntivi imposti ad un’inefficiente centrale a carbone possono ridurne la competitività in termini di costi marginali, portando ad una minore produzione, minori ricavi e, alla fine, cash-flow negativi. Ecco perché è, per così dire, “interessante” notare come negli ultimi tempi in Italia il carbone stia vivendo una seconda giovinezza, grazie soprattutto ai piani industriali di Enel, Edison ed Endesa, rafforzati in questo dalle dichiarazioni del governo italiano, preoccupato di ridurre il costo di produzione dell’elettricità e di diversificare le fonti energetiche. Nonostante le condivisibili intenzioni del governo, quella del carbone sembra una scelta in controtendenza a ciò che sta avvenendo nel resto dell’Ue, soprattutto in vista della partenza dell’emission trading, dal momento che il carbone emette un ammontare doppio di CO2 rispetto al gas. Infatti, giova ricordare che in Italia si parla molto di “carbone pulito”, ma con questo termine ci si riferisce alla riduzione delle polveri, degli ossidi di azoto e dell’anidride solforosa, ma non dell’anidride carbonica, la cui emissione in atmosfera può essere ridotta solo con tecniche ancora molto costose. E non credo che sia neanche corretto giustificare l’utilizzo del carbone prendendo la Germania come esempio per una serie di ragioni.

È pur vero che nel 2002 il carbone ha contribuito per il 51% (53% nel 2001) alla produzione di elettricità, ma la Germania, al contrario dell’Italia, ha diverse miniere di carbone che, tra l’altro, sono sovvenzionate dal governo, con l’eccezione di quelle di lignite. onostante tale predominanza del carbone nella produzione elettrica, la Germania è decisamente sulla buona strada per raggiugere il suo obiettivo di riduzione del 21% nelle emissioni di anidride carbonica per il periodo 2008-2012, avendole già ridotte del 19% (manca quindi solo un 2% da tagliare). L’Italia, invece, deve ancora ridurre di oltre il 14% le proprie emissioni e un maggiore utilzzo del carbone non può certo agevolare la strada verso Kyoto.
Rwe, il produttore elettrico tedesco col maggior numero di impianti a carbone, ha in effetti inaugurato a Niederaussem solo l’anno scorso un nuova centrale a lignite di 1.027 MW, con tecnologia ottimizzata BOA ed un’efficienza dichiarata del 43%. Ma la stessa Rwe ha pure dichiarato che la partenza dell’emission trading impedirebbe lo sviluppo di altre centrali con una simile tecnologia e potrebbe compromettere la profittabilità di quelle esistenti.

Certamente nel breve termine alcuni degli effetti negativi dell’ETS - Emission Trading Scheme, come viene comunemente denominato -potrebbero essere compensati dai ricavi ottenuti con la vendita sul mercato di permessi di emissione ricevuti in surplus. Tuttavia, col passare degli anni gli obiettivi di emissione diventeranno sempre più difficili da raggiungere ed il ritiro prematuro può diventare l’opzione più conveniente. E proprio la scelta di quando ritirare un’unità dipende criticamente dal Piano di Allocazione: per esempio, quest’ultimo deve determinare se e per quanto tempo una centrale deve continuare a rimanere operativa per aver diritto ai permessi di emissione. In tutti gli scenari di allocazione considerati l’emission trading comporta una variazione dei costi marginali di generazione e, quindi, dell’ordine con cui impianti specifici vengono dispacciati per soddisfare la domanda di elettricità così come una modifica dei flussi transfrontalieri di elettricità. Un aspetto quest’ultimo che riguarda da vicino un paese come l’Italia che importa il 15% della propria richiesta di elettricità.
Alcuni impianti cresceranno considerevolmente di valore grazie alle variazioni dei prezzi dell’elettricità, del mix di combustibili e del valore sottostante dei loro permessi di emissione. I maggiori beneficiari dell’emission trading - come i cicli combinati - potrebbero vedere aumentare il proprio valore fino all’87%, in base alla scenario di allocazione scelto. Con l’emission trading e, quindi, col vincolo alle emissioni di CO2, la media dei prezzi europei dell’elettricità all’ingrosso potrebbe aumentare considerevolmente anziché diminuire, come invece potrebbe accadere in uno scenario senza emission trading. Questa media, tuttavia, nasconde le variazioni maggiori che potrebbero verificarsi in Paesi come la Germania e la Gran Bretagna, in base al tipo di allocazione scelto. In conclusione, le società coinvolte dall’ETS dovrebbero stimare il loro valore in base ai vari scenari e cercare di coprire la loro esposizione attraverso un ribilanciamento delle proprie attivita` di generazione e di emissione. Infatti, vista la portata finanziaria e strategica dell’ETS, attendere passivamente il 2005 e poi buttarsi nel trading speculativo delle emissioni, senza prima essersi fatta una chiara idea della posta in gioco, sembra quanto meno uno spreco di risorse per non dire un salto nel vuoto.



 
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