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Schenkel: "R&S in Europa? Molto da fare ma siamo sulla buona strada" Stampa E-mail
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di Davide Canevari




Ronald SchenkelSe consideriamo l’intensità della spesa in ricerca e sviluppo, in rapporto al prodotto interno lordo, l’Europa è ancora oggi ferma attorno all’1,9 per cento, lo stesso valore del 2002; un numero ben lontano dall’obiettivo del 3 per cento che il Vecchio Continente si era posto come traguardo per il 2010. E ben distante dalle performance degli Usa, che investono circa il 2,5 per cento del Pil, o del Giappone (attorno al 3 per cento). Aspettando la Cina, Paese che proprio negli anni più recenti ha incrementato sensibilmente i propri investimenti in R&S, diventando così uno dei più importanti player a livello mondiale.
Rileggendo questi dati verrebbe da pensare ad uno stato di salute della R&S europea quanto meno precario. Ma si tratterebbe di una lettura frettolosa e per molti versi fuorviante, come conferma a Nuova Energia Roland Schenkel, direttore generale del Joint Research Centre. “L’obiettivo del 3 per cento, se pure non raggiunto – esordisce Schenkel – ha comunque avuto l’effetto di muovere le acque: numerose riforme sono state introdotte e la ricerca comunitaria ha ricevuto nuovi impulsi, preparando la strada per un futuro migliore”. Inoltre, per quanto riguarda gli investimenti del settore industriale, non mancano le sorprese positive.



Quali dati avete al riguardo?
La classifica elaborata annualmente dal JRC (Institute for Prospective Technological Studies) ha rivelato che nel 2008 le compagnie europee hanno superato quelle americane, per la prima volta da cinque anni a questa parte, in termini di incremento della capacità di spesa in R&S. A livello mondiale nel 2008 le spese di settore sono cresciute con un tasso del 9 per cento, valore in calo rispetto al 10 per cento registrato nel 2007; l’Europa è stata però capace di passare dal 7,4 all’8,8 per cento (gli Usa si sono fermati all’8,6 per cento n.d.r.). Considerando le singole aziende, il principale investitore a livello mondiale si conferma Microsoft con 5,6 miliardi di euro; ma alcune importanti compagnie europee seguono a poca distanza: Nokia è in quinta posizione con 5,3 miliardi, Volkswagen e Daimler sono rispettivamente nona e decima.

Per un ulteriore salto di qualità all’Europa oggi mancano più i cervelli o gli investimenti?
Certamente l’Europa ha bisogno (soprattutto) di cervelli in grado di portare avanti ricerche di qualità nelle aree di interesse strategico. Ma nello stesso tempo deve poter mettere in campo adeguati investimenti, indispensabili per garantire quell’ambiente e quelle infrastrutture necessari per attrarre nuovi ricercatori, espandere l’economia della conoscenza, creare attività imprenditoriali ad alto tasso di know-how.

Quali sono i settori di eccellenza in Europa nell’ambito energetico e ambientale?
Certamente l’Europa è all’avanguardia nelle rinnovabili e nel nucleare, solo per citare due settori chiave. Proprio lo scorso anno le ambizioni della Ue si sono concretizzate in un progetto integrato di lotta ai cambiamenti climatici e di politica energetica, noto come il pacchetto 20-20-20. Il JRC sta fornendo un supporto concreto alla scelta delle opzioni più appetibili per mitigare i cambiamenti climatici e alla diffusione di soluzioni tecnologiche low carbon.

Può indicare alcune priorità sulle quali, a suo parere, occorrerebbe intensificare l’impegno dell’Europa?
I nostri ricercatori dovrebbero concentrare il loro impegno, e aumentare i loro sforzi, sui grandi temi: i cambiamenti climatici, la crescente domanda di energia, i problemi legati all’invecchiamento della popolazione. E in queste sfide dovrebbero saper operare all’unisono.

"L'ATTUALE CRISI FINANZIARIA DOVREBBE RAPPRESENTARE L'OCCASIONE PER RISTRUTTURARSI
E PER ACCRESCERE IL LIVELLO
DI COMPETITIVITÀ INCREMENTANDO GLI INVESTIMENTI NELLA RICERCA"

La crisi finanziaria e l’eventualità di un lungo periodo di recessione possono penalizzare la ricerca?
Potrebbero. Anche se tra i Governi e molte delle principali compagnie è diffusa la consapevolezza che la crisi corrente dovrebbe, invece, rappresentare l’occasione per ristrutturarsi e per accrescere l’attuale livello di competitività incrementando gli investimenti in ricerca, education, innovazione.

Pensiamo al recente ampliamento della Ue. Quali opportunità e quali rischi per la politica comune di ricerca?
Non abbiamo intenzione, allo stato attuale, di creare una sorta di politica comune delle ricerca in Europa sul modello della Politica Agricola Comunitaria. Il nostro obiettivo è quello di implementare un’Area di ricerca europea dove le conoscenze e i ricercatori possano muoversi liberamente e dove si possa condurre R&S di livello world-leading su un certo numero di argomenti. Già oggi i nuovi Stati membri stanno producendo un numero elevato di ottimi laureati nelle discipline scientifiche e tecnologiche e stanno accrescendo gli investimenti in R&S con tassi significativi. Questi Paesi costituiscono una nuova spinta dinamica nel panorama comunitario di cui tutta la Ue potrà beneficiare.

Quali sono i principali focus in campo energetico sui quali è attualmente impegnato il JRC?
Le ricerche del JRC si concentrano – in sintonia con la politica energetica europea – sulla sostenibilità dei sistemi di generazione (nucleare e non nucleare), sulla sicurezza delle forniture, sulla competitività. Riguardo il primo aspetto, entra in gioco la ricerca sulle rinnovabili (incluso il fotovoltaico), sull’idrogeno e sui biofuel (settore che richiede da parte dei policy maker risposte immediate in termini di fattibilità tecnica e sostenibilità economica). All’interno dei nostri laboratori possediamo experimental facilities che ci consentono di elaborare dati e risultati in proprio; quindi di presentarci come un punto di riferimento indipendente per soggetti terzi. L’aumento dell’efficienza è un’altra sfida nella quale siamo impegnati. Le attività in campo nucleare includono sia la sicurezza dei reattori che del combustibile, soprattutto per quanto concerne la prevenzione e la mitigazione delle conseguenze di un possibile incidente. I nostri studi riguardano anche i cosiddetti reattori di IV generazione.

E quanto alla competitività?

"CAMBIAMENTI CLIMATICI, CRESCENTE DOMANDA DI ENERGIA, PROBLEMI LEGATI ALL'INVECCHIAMENTO
DELLA POPOLAZIONE RAPPRESENTANO LE GRANDI SFIDE"


Si può accrescerla integrando meglio le conoscenze oggi a disposizione sulle varie fonti e sui diversi aspetti della domanda energetica, e mettendole poi a disposizione di chi deve attuare le scelte politiche. In specifiche aree, come JRC siamo attivi nel promuovere lo sviluppo tecnologico; per esempio nel fotovoltaico, attraverso la valutazione dei sistemi di misurazione delle performance e di certificazione.

Terzo aspetto, quello legato alla sicurezza degli approvvigionamenti…
È intenzione del JRC aumentare progressivamente la propria capacità di approfondire gli aspetti economici e geopolitici della catena energetica, con particolare riguardo alle analisi delle principali turbative che possono influire sui mercati energetici, delle loro conseguenze, dei possibili rimedi. Questo approccio include anche la padronanza delle tecniche di monitoraggio e di risk assessment.

Uno dei temi più importanti della R&S oggi sembra essere quello della carbon capture & sequestration. Avete specifici programmi al riguardo?
Il V e VI Programma Quadro non prevedevano un coinvolgimento del JRC in progetti di ricerca sulle fonti fossili. Nel VII Framework Program, invece, l’interesse crescente per il carbone – fonte energetica interna capace di ridurre la dipendenza della Ue dalle importazioni di petrolio e di gas – ha mutato questo scenario. Notoriamente, infatti, il carbone ha le più alte emissioni specifiche di anidride carbonica tra le fonti fossili, a meno di intervenire attraverso soluzioni tecnologiche in grado di mitigarne l’impatto. Le strade possibili sono varie. Ad esempio si può intervenire sull’aumento dell’efficienza dei processi di conversione energetica, oppure attraverso la co-combustione di carbone e biomasse. Tuttavia, la CCS è forse il metodo più efficace, e per questo la Ue ha stabilito di mettere in funzione 10-12 impianti pilota entro la fine del 2015, così da poter disporre di soluzioni tecnologiche affidabili ed economicamente sostenibili entro il 2020.Quanto al JRC, attualmente sta portando avanti studi sul co-firing e sulla cattura post combustione (incluse le tecnologie oxy-fuel). Inoltre sta supportando la definizione della struttura regolatoria in tema di sequestro geologico della CO2 (valutazione dei rischi e monitoraggio dei siti), studiando la catena del valore dell’anidride carbonica e il fabbisogno di nuove infrastrutture per collegare i siti di produzione con quelli di stoccaggio. Infine, sta supportando la Direzione Generale Energy and Transport nella definizione di un Project Network specificamente dedicato alla CCS.

In Italia uno dei problemi più sentiti è quello del trasferimento dei risultati, dai centri di ricerca al cittadino o – a maggior ragione – alle imprese. È una criticità sentita anche in Europa?
Il problema del trasferimento dei risultati della ricerca è comune a tutta Europa. Numerosi sono i fattori che ostacolano il passaggio, inclusi la distanza culturale che ancora divide la comunità scientifica e quella imprenditoriale, la frammentazione dei mercati della conoscenza e della tecnologia, complicazioni di natura legale. Detto questo, l’importanza strategica del trasferimento dei risultati, come incubatore per il miglioramento della competitività, è nota a tutti ed è stata anche ribadita attraverso la Strategia di Lisbona. Lo stesso può dirsi di altre iniziative della Ue destinate proprio a identificare e promuovere le good practices a supporto della promozione delle relazioni e delle sinergie non ancora sfruttate tra l’industria e l’università.

Quale aiuto può offrire il JRC?
Pur essendo la nostra mission quella di fornire un supporto tecnico e scientifico ai policy maker, generiamo anche interessanti risultati all’interno dei nostri programmi di ricerca o in collaborazione con soggetti terzi. Dal 2002 il JRC è anche responsabile del management della proprietà intellettuale all’interno della Ue: non solo brevetti, ma anche software, copyright, marchi, eccetera. All’interno del nostro gruppo di lavoro opera un’unità dedicata proprio alla protezione, al trattamento e allo sfruttamento di questo portfolio. Promuovere l’innovazione culturale tra i nostri ricercatori, creare un network tra pubblico e privato per condividere le best practices, incoraggiare l’esplorazione delle tecnologie promettenti (anche se non di sicuro e immediato successo n.d.r.), favorire lo spin off e il marketing dei risultati, sono aspetti chiave nell’approccio del JRC al trasferimento delle conoscenze.

Torniamo al tema della security of energy supply. Quale può essere al riguardo il ruolo e il supporto di un centro di ricerca come il JRC?
In termini energetici dobbiamo “essere sicuri” per quanto riguarda l’accesso alle fonti, il controllo dei flussi, la distribuzione, la possibilità di soddisfare con soluzioni alternative un eventuale deficit imprevisto. Per queste ragioni la sicurezza è diventata un elemento basilare nella politica energetica comunitaria, anche tenendo conto che attualmente oltre il 50 per cento dei consumi è importato dall’estero e che questo valore è destinato ad aumentare drammaticamente nei prossimi venti anni. È quindi fondamentale valutare i diversi scenari tecnologici, geopolitici, ambientali, economici, utilizzando metodologie corrette. È in questo contesto che il JRC, e in particolare l’Institute for Energy, fornisce analisi e strumenti di ricerca indipendenti e aggiornati. Questo istituto studia il mercato e le sue evoluzioni, gli aspetti regolatori, le sfide ambientali. Con l’obiettivo di aiutare i policy maker nelle scelte, spesso non facili, stiamo sviluppando un indicatore complessivo della domanda energetica abbinato a un geographical information system indicator. Una seconda linea di ricerca si concentra esclusivamente sugli aspetti ambientali della sicurezza energetica. Ad esempio, stiamo studiando le relazioni tra la necessità di combattere i cambiamenti climatici e quindi di ridurre le emissioni di anidride carbonica e la security energetica. Questo è un elemento cruciale per ponderare differenti tecnologie e opzioni. Stiamo anche focalizzando le nostre analisi sulla liberalizzazione del mercato europeo: useremo una innovativa tecnica di simulazione e di modellizzazione per simulare gli impatti potenziali di differenti politiche volte a promuovere il risparmio energetico e a modificare i comportamenti dei consumatori.

Le rinnovabili rappresentano il futuro, ma spesso si tratta di tecnologie note dagli inizi del secolo scorso. Quali sono, oggi, le possibili ulteriori linee di sviluppo per queste fonti?
Le più promettenti linee di ricerca attualmente hanno a che fare con le tecnologie per la generazione elettrica dal vento, dal solare fotovoltaico o termodinamico. Tutte hanno già beneficiato di significativi passi avanti in termini tecnologici, di produzione, di contenimento dei costi. L’energia eolica, in particolare, è molto vicina alla competitività economica con le fonti tradizionali. E la stessa energia solare, nel giro di pochi anni, potrebbe diventarlo nelle ore di picco. Naturalmente le potenzialità di sviluppo di queste fonti nei prossimi 15 anni dipenderanno anche dalla capacità di risposta delle infrastrutture di distribuzione e dalla soluzione dei problemi di accumulo. Altre tecnologie come lo sfruttamento del mare o il geotermico potranno guadagnare maggiore spazio. Quello che, al momento, resta ancora da capire è quale tecnologia rinnovabile (e in quale misura) potrà contribuire alla domanda dei settori non elettrici come i trasporti, il riscaldamento, il raffrescamento.

Parliamo dei dispositivi di conversione, in uso nelle nostre case e negli uffici per ridurre la tensione di rete e alimentare portatili, telefonini, modem, eccetera (i cosiddetti external power supplies). Recentemente gli Stati membri hanno appoggiato la proposta della Commissione europea per un aumento del 30 per cento della loro efficienza energetica entro il 2020, rispetto allo scenario attuale business as usual. È davvero un obiettivo plausibile?
Le ricerche del JRC – e approfondite analisi di carattere tecnico, economico, ambientale condotte con gli stakeholder e con esperti provenienti da tutto il mondo – hanno confermato che un obiettivo di risparmio del 30 per cento è ottenibile. Ora, una nuova sfida per i ricercatori è quella di identificare altri ambiti con grandi potenzialità di risparmio nei quali intervenire, come computer, modem, eccetera.

Si torna a parlare di nucleare in Europa. In attesa della IV Generazione, quali i possibili sviluppi a breve e medio termine?
In effetti molti Paesi europei stanno vivendo un revival nucleare stimolato dall’incremento generalizzato dei prezzi dell’energia, dalla chiusura di alcuni reattori dell’ex blocco sovietico, dal timore di non poter raggiungere i target comunitari sul controllo dei cambiamenti climatici, dalla dipendenza crescente dal gas russo. Questo vale particolarmente per la Scandinavia e il Centro Europa, dove ci sarebbero 13 impianti in costruzione secondo la European Nuclear Society. D’altra parte, ancora oggi un terzo dell’elettricità nella Ue è di fonte nucleare. Nel futuro a breve termine ciascun Paese, in base alle proprie specifiche esigenze, potrà definire una strategia energetica ideale; ma per tutti dovrà valere il principio del mix equilibrato di fonti. Le rinnovabili certamente giocheranno un ruolo fondamentale, ma non potranno farcela da sole. E la fusione nucleare, anche in presenza di significativi breakthrough tecnologici non potrà comunque essere una realtà nell’immediato futuro...

Tutti elementi che dovrebbero giocare a favore di un ritorno al nucleare?
Ci sono (altri) numerosi e importanti fattori che influenzeranno il futuro del nucleare all’interno della Ue. Il primo e più importante è la necessità di garantire la continuità operativa, in piena sicurezza, degli impianti

"NEL FUTURO A BREVE TERMINE CIASCUN PAESE POTRÀ DEFINIRE
UNA STRATEGIA ENERGETICA IDEALE; MA PER TUTTI DOVRÀ VALERE IL PRINCIPIO DEL MIX EQUILIBRATO DI FONTI"

oggi esistenti. Il secondo è la crescente domanda di energia, elettrica in particolare. La terza è la capacità del settore nucleare di rispondere a questa esigenza in maniera competitiva. Il vantaggio economico degli impianti nucleari di ultima generazione è stato fortemente aumentato grazie all’accrescimento del tempo in cui il combustibile nucleare può rimanere all’interno del nucleo del reattore (burn-up) e dell’energia generata. Un più efficiente sfruttamento del materiale fissile significa una minore richiesta di materia prima durante tutto il ciclo di vita del reattore, minori costi, un minor quantitativo di rifiuti radioattivi da smaltire. Le prossime realizzazioni, compresa la IV Generazione, ottimizzeranno ulteriormente sia la fase di impiego del materiale fissile sia quella di gestione delle scorie radioattive. È comunque ragionevole pensare che nei prossimi 15-20 anni non ci saranno stravolgimenti drastici nella produzione di energia nucleare. Questo periodo sarà dedicato a saggiare la reale volontà dei Paesi di sviluppare ricerche nucleari e a prepararsi per un lancio commerciale dei reattori di IV Generazione.

Quali sono i principali progetti sui quali state lavorando in tema di trasporti?
Il settore della mobilità è, notoriamente, uno dei maggiori consumatori di energia e ci sono quindi forti pressioni sul mondo della ricerca perché sviluppi combustibili alternativi e incrementi l’efficienza degli attuali utilizzi. Su questi due temi portanti sono numerosi i progetti che il JRC sta portando avanti. Pensiamo, ad esempio, all’idrogeno e ai problemi – in termini di sicurezza, uso efficiente, performance – che occorre superare prima di poter considerare questo vettore una soluzione davvero adeguata al trasporto privato. Presso il nostro Institute for Energy sono allo studio specifiche metodologie per definire standard di valutazione delle performance dell’idrogeno in termini di conservazione, accumulazione, detection e sicurezza. In merito ai biofuel l’obiettivo è quello di definire parametri che permettano ai decisori di formulare adeguate politiche nei confronti delle bioenergie. Questo significa, tra l’altro, analizzare il ciclo di vita e definire l’analisi dei costi dei biofuel di prima e seconda generazione.

 
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